Portiere, pensatore, ultrà, fiero papà, amante della musica. Un personaggio a tutti gli effetti. Tommaso Berni non rappresenta di certo lo stereotipo del calciatore. Con lui si spazia dal calcio giocato alle nuove tecniche del parto. Dai ricordi di una gioventù legata al Fenomeno Ronaldo, al dispiacere di non aver vinto nulla con l’Inter. In esclusiva per FcInterNews, davvero un’intervista a 360° per l’ex portiere dei nerazzurri.
Dove vive adesso?
“Al momento a Milano. Con la mia famiglia siamo stati fino a metà ottobre a Ibiza. Tra non molto torneremo lì. Con l’isola che diventerà la nostra base. Per mia moglie lo è da 10 anni. Lei è una terapista. Prima lavorava nella moda, oggi è questa la sua dimensione tra yoga, gong planetari e campane tibetane. Prima faceva avanti e indietro, adesso che probabilmente ho smesso, ci andremo insieme (ride, ndr)”.
Allora le pongo subito la domanda. Appende i guantoni al chiodo?
“Non me lo sto dicendo, ma credo che sia inevitabile vista la situazione di oggi. Il Covid-19 ha influito sul mercato. La vedo difficile che possa venire fuori un’altra opportunità. Poi io ho sempre il cellulare a portata di mano. Qualora mi dovessero chiamare, ci sarei. Ma la vedo difficile”.
Torniamo un secondo alla sua famiglia. Lei ha visto nascere sua figlia in acqua.
“Esatto, mia moglie ha partorito in casa il 3 marzo, giusto pochi giorni prima che chiudessero tutto. Si è trattato di un’esperienza meravigliosa. Ho avuto la fortuna di assistere a questo momento incantato. È stato incredibile. Le donne sono forti, hanno tutte una forza e una magia incredibili. In quelle 18 ore di travaglio ho vissuto tutte le sue sfaccettature. Dalla fragilità alla potenza, con un amore incredibile. La prima foto che ho della piccina è nell’acqua con lei. Porterò questo ricordo per sempre con me. Abbiamo fatto la Lotus Birth, questa tecnica per cui placenta e cordone siano gli amici dei neonati per quei nove mesi in cui stanno nella pancia della mamma. In questo modo non vengono tagliate subito dopo che la creatura è venuta al mondo. Ma è lei stessa a separarsene quando si sente sicura con i genitori. E in effetti è stato così”.
Resterà nel mondo del calcio o come sua moglie cambierà totalmente vita?
“Al momento la seconda ipotesi. Poi il mondo del pallone è talmente particolare che non si può mai dire”.
Ha già un’idea di quello che potrebbe fare?
“Sono aperto a tutto. Ho la fortuna di avere col mio migliore amico una società che si occupa di musica e produzioni, questo potrebbe essere un buon inizio”.
Un dirigente nel mondo musicale?
“Mi sembra un po’ troppo. (ride, ndr). Diciamo che vista la mia passione, posso provare a trasformarla in un lavoro. Ma mica parto così in alto!”.
Lei comunque ci è già riuscito. Dato che tutti i bambini o quasi sognano di diventare calciatori.
“Assolutamente. È stato il raggiungimento di un sogno. Io avevo solo la passione e la gioia del giocare a pallone. Dovunque fossi, dalla scuola al campetto d’erba, con o senza porta, tanto al massimo si buttavano per terra due maglioni. Non pensavo al diventare professionista. E di fatto sono rimasto quel ragazzino che si divertiva per la strada, pur avendo tramutato il calcio in lavoro”.
Ed è arrivato all’Inter.
“Ancora non ci credo. Nel 1997/98 mi allenavo con Castellini ad Appiano. Quando terminavamo la seduta, anche se la temperatura era sotto zero, e rischiavo ogni volta di ammalarmi, mi nascondevo dietro i cartelloni pubblicitari e ammiravo il Fenomeno Ronaldo, Baggio, Vieri. L’Inter era per me inarrivabile. Questi sei anni restano un sogno bellissimo ed è un onore averne fatto parte”.
Dal 2014 sino a pochi mesi fa.
“Sono arrivato col cambio societario, c’era un po’ di confusione, normalmente si opera in questo modo. Per vincere deve funzionare tutto, dalla cima. E oggi è così. L’Inter è una società solida, presto tornerà sicuramente a trionfare”.
Lei non ha mai esordito, ma ha questo record delle due espulsioni dalla panchina.
“Colpa mia. A volte veniva fuori questo spirito ultrà insito dentro di me. Ho dato un esempio sbagliato in quelle occasioni, peccato. Ho comunque dato sempre il meglio per questa maglia”.
Questo però si percepisce.
“Di fatto ero anche io un tifoso, che però faceva parte della squadra. Ho riscontrato un affetto incredibile da parte di tutti i supporter. Hanno capito quanto ci tenessi. Non potendo esprimerlo in campo, l’ho fatto dietro le quinte. Peccato che non siamo riusciti a portare a casa dei trofei. Ma ripeto, l’Inter tra poco inizierà nuovamente a vincere tanto”.
Ha vissuto comunque tante partite importanti. Quale quella che porta nel cuore?
“Lazio-Inter era uno scalino che in qualche modo avremmo dovuto superare. Fu una partita di emozioni infinite. Come Inter-Empoli dell’annata seguente. Se un regista vedesse queste due gare, potrebbe farne una serie tv di successo. Passammo dal pianto alla gioia, con emozioni meravigliose, che legarono tanto tutto lo spogliatoio. E per l’Inter deve essere la normalità. Ma non possiamo non parlare anche dei Derby vinti. E peccato per la sconfitta contro il Siviglia in finale”.
Lei è la dimostrazione di come conta la squadra e non il singolo.
“L’ho sempre sostenuto, lo spogliatoio è fondamentale. Quando l’Inter mi chiamò, avrei potuto giocare da altre parti. Ma un’occasione così doveva essere colta. Quindi misi da parte l’ego del voler essere protagonista. Se la squadra è coesa tutti vanno sopra le righe e rendono al meglio”.
A proposito di spogliatoio. I tifosi nerazzurri sembrano dividersi tra chi sta con Conte e chi con Eriksen.
“Guardi, è normale che un calciatore voglia giocare sempre per mostrare quello che vale. Anche io mi allenavo come se la domenica successiva fossi dovuto scendere in campo. Mentre gli allenatori prendono le decisioni secondo quello che credono essere il bene della squadra. Per me si tratta di due professionisti top. Ci vuole davvero poco perché l’intesa tra Conte ed Eriksen vada a posto. Basta un niente, una scintilla, un episodio. Christian farà bene. Non dimentichiamo che è uno straniero che viene da un calcio diverso. Le qualità non possono non emergere, fidatevi”.
Lei ha il rammarico di non aver esordito con la maglia dell’Inter?
“Un paio di minuti li avrei fatti volentieri. Però avrei voluto giocarli con lo stadio pieno, qualora l’impianto fosse stato vuoto non mi sarebbe piaciuto (ride, ndr). Sapevo comunque quale fosse il mio ruolo. Non ho alcun rammarico. Non avrebbe avuto senso schierarmi nelle ultime partite di campionato, in gare decisive. E poi c’era Samir, un campione”.
Che mi dice di Handanovic? Avete in comune l’essere dei pararigori.
“Io ne ho parato qualcuno in B. Ma non mi paragoni con lui, perché Samir è un mostro. Ho imparato tanto da lui, ho smesso che ero quasi diventato un buon portiere (ride, ndr)".
Oggi però qualche critica la sta subendo.
“Per me resta di uno dei migliori portieri a livello internazionale. Il ruolo è delicato. E le somme si tirano alla fine. Lui ti porta 15-20 punti. È affidabile e completo. Lavora ogni giorno per migliorarsi sempre. Ci metto la mano sul fuoco, i tifosi nerazzurri possono stare tranquilli per molto tempo”.
Insomma Radu dovrà aspettare un bel po’…
“Ha davanti un grandissimo portiere. Avrà modo di imparare davvero tanto se tiene gli occhi aperti. Samir è un esempio di professionalità e interismo. Un vero Capitano. Uno che non parla tanto ma con l’esempio dei suoi comportamenti dice tutto”.
Chi mi nomina come tecnico?
“Spalletti e Conte hanno dato una marcia in più all’Inter. È tornata quella mentalità del provare a vincere tutte le competizioni”.
Il fatto che l’Inter abbia concluso la stagione per ultima, ad agosto, sta incidendo sui risultati attuali?
“Certo, quella precedente è stata una stagione assurda, stressante. Abbiamo trascorso due mesi allenandoci in casa. Per un niente non siamo tornati vincitori”.
Quest’anno si può vincere?
“Sì, il campionato è lungo. Gli ultimi tre mesi sono quelli che contano più di tutti. L’Inter tornerà presto a festeggiare, peccato solo che io non ci sarò come giocatore della rosa”.
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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