Silente, in punta di piedi, ma sorridente, soddisfatto, quasi incredulo. Si era presentato così Stefano Sensi lo scorso luglio, quando era appena diventato un nuovo giocatore dell’Inter di quell’Antonio Conte che in primis nutriva qualche riserva. Con diffidenza, sarà per le voci che precedentemente lo avevano accostato al Milan, i tifosi nerazzurri guardavano al 24enne di Urbino come l'ossigeno di quel Marcelo Brozovic che nella stagione appena conclusa non aveva mai rifiatato. L’ex Sassuolo però ci ha messo poco a mettere i puntini sulle i: riserva a chi? È bastato il tour pre-season per convincere che la titolarità di lì a poco non sarebbe stata così dubbia. Sensi di fare la riserva non ne voleva proprio sentire e se qualora ci fosse stato ancora chi storceva il naso, contro il Lecce suggella il concetto. Il 12 nerazzurro alla prima di campionato contro i salentini si è guadagnato l’ovazione di San Siro dopo una prestazione esaltante condita da un gol nato da quelle caratteristiche marchio di fabbrica di Sensi: intelligenza tattica e qualità tecnica che da tanto, troppo tempo mancavano tra le mura del Meazza. Ma è con il Cagliari alla Sardegna Arena che rivela un altro piccolo dettaglio sconosciuto ai più: corsa senza palla e capacità di inserimento che con il tempo hanno convinto sempre di più Antonio Conte ad utilizzarlo come mezzala, posizione che anche con De Zerbi aveva occupato, ma solo nell’ultimo periodo. Al Sassuolo infatti, ricopriva quel ruolo da regista che però Conte, sin dal primo giorno, non ha mai preso in considerazione, convinto che le qualità dell'ex Cesena andassero sfruttate qualche metro più avanti.
Fondamentale in tal senso è stato il lavoro del salentino che ha tirato fuori tutti gli aspetti che fino a quel momento non erano mai sembrati così dirompenti: velocità di pensiero e di azione, corsa, resistenza, propensione al pressing sugli avversari, ricerca della profondità, scelta corretta dei tempi e degli spazi da attaccare. Una cerniera tra difesa e centrocampo che lo ha reso la ciliegina sulla torta del gioco di Conte che in soli due mesi ha fatto di lui una formica atomica. Sì, perché il ragazzo alto 1.68 ha dimostrato quanto contino relativamente poco le dimensioni, e il gol con l’Udinese, impattato di testa un cross di Godin, ne è la controprova. Contro i bianconeri ha messo a segno il secondo gol in Serie A in tre partite, partecipando attivamente alla quarta rete dell’Inter fino a quel momento, raddoppiando i tentativi di tiro in porta rispetto ai tre anni al Sassuolo.
Altra perla rara fu la prestazione sfornata al Camp Nou, dove Stefano è sembrato tutto fuorché un pesce fuor d’acqua in quello che poteva apparire come un acquario troppo vasto per un pesciolino tanto piccolo. Al contrario, Sensi si impose come uno dei migliori in campo, trascinando un’Inter che alla fine cadde sotto i colpi di tre indiscussi campioni fuori lizza. Problema che l’Inter sembrerebbe aver risolto proprio nelle ultime ore con l'acquisto di Christian Eriksen. Ma proprio il danese ha messo ancora una volta in dubbio la posizione di Sensi, che simile per caratteristiche al 23 (ormai ex) del Tottenham, potrebbe scalzarlo dal ruolo di playmaker e c’è chi ci fantastica sopra. L’importanza del 12 interista però è bella che assodata e difficilmente Conte, che dopo l’infortunio che lo ha tenuto fuori un mese ha vissuto momenti di traumatica malinconia, rinuncerà a quella formica atomica che lui stesso più volte ha esaltato. Se nel tempio blaugrana l’Inter ha ceduto il passo e i punti è anche a causa di quella mancanza di compattezza dietro che avrebbe potuto giovare alla dinamite Stefano, spesso troppo isolato sulla pressione avversaria e nel creare gli appoggi giusti alle due punte davanti. Con l’arrivo di Christian Eriksen è più probabile dover ridisegnare qualche aspetto tattico ma non certo gerarchico.
La partenza ormai certa di Matias Vecino funge da ulteriore garanzia del fatto che Stefano, una volta tornato al 100%, rappresenti un elemento di primissimo piano per Conte. D’altronde il leccese, che ad oggi fa muro non rispondendo alle domande che lo vorrebbero stuzzicare sull’argomento, si era già espresso abbastanza a Dortmund, dove la coperta si era vista in tutta la sua ristrettezza, esponendo un problema di mancanza di risorse che con l'arrivo del danese si ridurrebbe sostanzialmente. La convivenza dei due quindi tutto sarebbe fuorché un problema, che al contrario, diventerà quel valore aggiunto a trovare la soluzione che Conte da ottobre chiede.
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Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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