Non sono più i giorni della disfatta, che si è consumata lenta nel tempo, domenica dopo domenica, in queste otto settimane terribili; non è più tempo di delusione, tanto che l'ambiente nerazzurro si è ormai spaccato come il mar Rosso polarizzandosi tra depressione e autoironia. Benvenuti invece al giorno della rabbia, quella rabbia che trasuda dal campo e piove dagli spalti, autentica cornice dell'ennesima figuraccia su quella che fu la nobile scena di San Siro. Immaginatelo, il Dies Irae, nella versione celeberrima di Mozart: suona più forte di un Pazza Inter che ormai appare sin troppo ottimistico, si nutre dei fischi e delle aspre parole della Nord, diventa poi assordante stagliandosi sullo sfondo di un inedito silenzio quando, intorno al 20', la Curva abbandona il Meazza. Tutto sommato, il fatto tecnico (o fattaccio, se vi pare) è soltanto il contorno del lunch match di ieri, che trova invece i suoi motivi di maggior interesse nella contestazione del tifo organizzato, nei fischi degli altri spettatori, tra i quali spiccano i molti bambini e la loro spontanea invocazione a Gabigol, e infine nel chiaro sapore di tensione che inevitabilmente volava di bocca in bocca tra alcuni nerazzurri sul campo di gioco.
RESPONSABILITÀ - Dal velo pietoso agli onori tributati a Pioli, "unico attore interista in mezzo ad una squadra di indegni e a una società di comparse", fino alla tirata di orecchie che invita Zhang a non sperperare invano come avrebbe fatto qualche suo illustre predecessore, la posizione della Curva Nord è netta: i fatti, prima ancora dei tifosi, additano chiaramente giocatori e società come i primissimi responsabili del disastro. Su questo dato, nessun dubbio e nessuna obiezione, semplicemente perché la verità non tollera obiezioni. Più volte in passato, proprio da queste righe, si è mossa qualche critica a Pioli, reo di aver perso lucidità col passare delle settimane e di essersi come appiattito su una sorta di copione scritto male da altri, che il tecnico emiliano avrebbe dovuto reinventare con le indiscutibili doti esibite in carriera e lasciate intravedere nel suo primo, fortunato troncone in nerazzurro. Sappiamo tutti, però, che si trattava di un compito immane: per condurre in porto una barca di queste dimensioni, priva di gerarchi di spicco e con l'equipaggio ammutinato, sarebbe servito un capitano dalle doti straordinarie, forse extraterrestri, e neppure questo ipotetico alieno avrebbe avuto garanzie di successo, salendo al timone nel bel mezzo del naufragio. L'ex allenatore della Lazio merita ben altro ambiente, nel quale instillare la sua tranquillità e il suo calcio logico e pulito, a tratti anche pregevole, e gli auguriamo che possa esprimere appieno le sue qualità quando, come pare, si vestirà di viola. Quanto ai giocatori, è pura retorica da bar affermare che la sola definizione di professionisti possa garantire che un ragazzo poco più che ventenne si renda conto delle responsabilità che gli arrivano dal suo lauto compenso e decida di tenere dritta la barra quando sopra di lui succede l'impensabile. È chiaro, per carità, che la società dovrà scremare questa rosa dalle mele marce, e aggiungere quei famosi condottieri in campo che possano arrivare lì dove non riesce neanche il più acuto dirigente; il compito primario della dirigenza, tuttavia, sarà quello di assestarsi, trovando essa stessa un equilibrio che da troppi anni è utopia. Soltanto in questo modo, infatti, si potrà rendere in futuro più agevole la vita dell'allenatore, cosicché un giorno, magari, non si dovrà più affermare con leggerezza che l'Inter può vincere solo con un cane da guardia in panchina.
GERARCHIE E GIUDIZI - Per lo stesso motivo, risulta assai poco comprensibile la logica che governa non solo determinate scelte di mercato, ma più in generale il posizionamento di determinati giocatori all'interno delle gerarchie tecniche di casa Inter. Un simile discorso deve certamente partire dalla più banale delle precisazioni: un tecnico, che sia lo sfortunato Pioli o il malcapitato Vecchi, è l'unica figura che possa dirsi davvero a conoscenza della mole di lavoro svolta dai suoi in settimana e delle doti tecniche di ciascun componente della rosa; le sue scelte, in questo senso, sono in qualche modo insindacabili. Appare tuttavia assai inverosimile che alcuni dei nerazzurri visti ieri alle prese con l'ennesima prestazione da lavativi siano instancabili protagonisti dei pomeriggi di Appiano, magari a tirare il gruppo nei giri di campo. Perché, dunque, non puntare maggiormente su quei nerazzurri la cui mamma ha magari forgiato dei piedi meno sopraffini, ma che si distinguono a vista d'occhio per una dedizione alla causa ancora incontaminata dal clima rinunciatario che affligge quest'Inter? In attesa del Giorno del Giudizio societario, quello che dovrà separare il grano dall'erba cattiva con mano -auguriamoci- ben più sapiente e precisa di quanto non si sia visto nelle ultime estati, è intanto arrivato il Dies Irae del pubblico nerazzurro, assordante e inevitabile. Anche quello stesso futuro sul quale l'ambiente interista riponeva le sue più rosee speranze, forte dell'ingente disponibilità economica della proprietà, è oramai pienamente investito dalle nubi: cosa attendersi da un Sabatini in più, da un Ausilio nell'inedito ruolo di collaboratore, dal nuovo tecnico nerazzurro che, a quanto pare, la dirigenza vorrebbe sia un uomo decisionista e spietato? Il risultato di questo cocktail potrà essere improntato a un'efficienza chirurgica, oppure condurre alla confusione più assoluta. All'alba di una rivoluzione ancor più complicata di quella che attende l'Inter, un cinese forse più celebre di Zhang osò affermare: "Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente". Difficile non far meglio di quanto si è visto in questi anni: quel che è certo è che per tornare grandi occorrerà un gran pensare, ma ancor di più un pensare in grande.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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