Dieci anni e non sentirli. Ospite di Sky Sport, José Mourinho celebra attraverso le domande dei giornalisti Paolo Condò e Massimo Marianella, il Triplete, l'impresa realizzata nella stagione 2009-10 da condottiero dell'Inter. "Grazie dell'invito e grazie ai miei giocatori perché senza di loro non sarei con voi oggi", dice lo Special One.
Cosa ha provato quella sera?
"Ci sono dei momenti indimenticabili, questo è uno di quelli. Però il rapporto che ho con i giocatori, Moratti e tutti quell che hanno lavorato è la cosa più importante. Ovviamente vale il Triplete, il sogno mio e degli interisti, ma rimarrà per sempre questo rapporto. Questa è la cosa davvero speciale".
Cinque anni fa disse che il Triplete è stato il suo vero capolavoro da allenatore, lo è ancora?
"Io penso che i risultati fanno la storia, senza risultato non c'è storia. Ma io sento che questa squadra è speciale perché quello che abbiamo fatto va oltre le Coppe e le medaglie. Va oltre la storia dell'Inter e del calcio italiano. Quello che mi fa sentire speciale è sentirmi un capo di questa squadra che di capi ne aveva tanti: siamo una famiglia dieci anni dopo. Ci siamo separati ma saremo amici per sempre, questo è quello che mi manca nella mia carriera. Ho avuto bei risultati con altre squadra, ma questo sentimento di famiglia per la vita mi rende orgoglioso".
Analizzando le varie tappe della Champions, a Madrid avevamo la sensazione che l'Inter non potesse perdere la finale.
"Avevo anche io quella sensazione. A Kiev, all'85 eravamo fuori dalla Champions; col Chelsea era difficilissima, a Barcellona dopo il rosso a Thiago tutti hanno pensato all'eliminazione. Ma a Madrid sentivo che la Coppa era nostra, e ho cercato di trasmettere il messaggio corretto: c'era una partita da giocare, ma Dio aveva deciso che era nostra. Senza il senso di famiglia è difficile avere quella stagione storica. Ovviamente ci sono le qualità dei giocatori top, ma prima di tutto c'è questo senso di interismo. L'Inter di Moratti, quella che ho conosciuto, aveva la qualità di far sentire la gente a casa. Io non sono nato interista, come la maggioranza di quei giocatori; ho seguito i principi morali di Moratti e l'empatia, questo ha reso il gruppo così speciale. Siamo cresciuti nelle difficoltà in quella stagione, che non è stata solo il 22 maggio, la Champions. Il pareggio a Firenze, gli infortuni, le squalifiche sono stati superati perché eravamo un gruppo di amici. Io mi sentivo come uno di loro, solo con più esperienza e responsabilità; non era un gruppo ma una famiglia".
Messaggio di Zanetti: è un piacere vederti, ti mando un abbraccio come quello dopo la finale del Bernabeu. Ti voglio bene.
"Sapete perché rido? Perché questo ragazzo ha sempre i capelli a posto, anche senza parrucchiere. Zanetti è il nostro capitano, per me è stato il capitano dei capitani. Avevamo un gruppo di ragazzi fondamentali nell'ambizione: Javier, Cordoba, Marco (Materazzi ndr), Orlandoni, giocatori col cuore nerazzurro e portatori di valori e di un sogno. Quel 2010 era 'adesso o mai' per molti di loro".
Molti elementi di quella famiglia sono stati scelti in base alle loro motivazioni: Sneijder, Lucio ed Eto'o, per fare tre esempi.
"E' vero furono scelti per quello. Questi tre, più Pandev, li abbiamo cercati per le loro qualità tattiche ma anche per altre cose. Possiamo fare lo stesso discorso per Milito e Motta, arrivavano dal Genoa con l'ambizione di vincere almeno le competizioni nazionali. Lucio fu scartato da Van Gaal, Wesley dal Real ed Eto'o da Pep; dico grazie a Branca e Oriali perché hanno fatto un grandissimo lavoro aiutandomi tantissimo nelle scelte. Poi c'era Moratti che ci guidava verso il sogno, che non nascondeva mai di avere".
Messaggio di Samuel: mi disse che quel trionfo ci avrebbe legato per sempre. Niente sarebbe stato possibile senza di lei, saluto i compagni e i tifosi sempre impressionanti.
"E' sempre bello rivedere i giocatori. Io mi sento come il rappresentante dei giocatori, non mi vedo come una persona speciale. In quella squadra l'importanza di Milito, che ha segnato nelle tre finali, e degli altri protagonisti è uguale a quelli che non hanno giocato, ai magazzinieri e lo staff medico. Sono senza parole, quello che abbiamo fatto è molto più delle Coppe che abbiamo vinto. In quella finale di Madrid non ho mai pensato a me, non ho pensato che avrei vinto la mia seconda Champions o ai premi individuali. Pensavo solo alla gioia degli altri, al significato della Coppa per Moratti, Zanetti e i tifosi: il mio era un pensiero altruista. Mi sentivo speciale in quel senso, mi sentivo umile, tranquillo, attento alle emozioni degli altri. Questo gruppo ha avuto questo potere su di me; tante volte i giocatori dicono che che ho lasciato un segno in loro, io dico che anche loro mi hanno lasciato un segno".
Messaggio di Milito: sarò sempre grato a te per avermi dato la possibilità di venire all'Inter. Parlavi sempre di sogno, tu ci hai convinto a realizzarlo. Ti voglio bene, un forte abbraccio.
"Sono stato con lui a Manchester qualche anno fa, ci siamo visti prima e dopo la gara. Non ci vedevamo da tanto, ma quando ci siamo ritrovati era come se non fosse passato il tempo".
La chiave fu a Kiev, ti riporto all'intervallo di quella partita.
"Io non parlo tanto delle storie di spogliatoio, ma è anche bello che la gente possa condividere questi racconti. In quella partita lì, all'intervallo, vedevo gente triste, e io odio la gente triste quando c'è tanto da giocare. Io ho pianto dopo le vittorie, ma solo una volta dopo una sconfitta perché non mi piace farlo. Tornando a Kiev, ero veramente arrabbiato perché la squadra poteva fare di più. Io sono riuscito a fare i cambi tattici che servivano alla squadra, era obbligatorio rischiare per vincere. Sono riuscito a entrare nel cuore dei giocatori e siamo stati fantastici nel secondo tempo. Fu il momento chiave proprio perché eravamo a un passo dall'eliminazione".
Ha ancora la tachicardia per Barcellona-Inter?
"La più bella sconfitta della mia vita (ride ndr).
Batti Guardiola e poi Van Gaal. Quest'ultimo ti definì bravissimo ma non della famiglia Barcellona.
"Non lo so se la storia sia vera, io sono rimasto 4 anni a Barcellona. Van Gaal mi ha chiesto di rimanere dopo aver fatto il vice di Robson: per lui nutro sentimenti positivi. A livello di orgoglio, mi fece male salutarlo quando dovetti lasciare il Barça. Al Camp Nou non abbiamo perso, ma vinto 3-2, ed è stato possibile grazie alla qualità e alla tattica. Non potevamo vincere in casa e resistere là senza il bel lavoro in transizione offensiva; ma ho contato anche il concetto di famiglia, ci aiutò a resistere. Prima della gara di Barcellona, il mio figlio di 10 anni mi ha detto 'io ho visto la tua prima finale di Champions ma non me la ricordo, Ne voglio una di cui avere memoria'. Io ho parlato di mio figlio e ho detto ai miei giocatori di pensare ai loro, siami entrati in campo con quel sentimento lì di vincere per qualcun altro. In quella semifinale lì siamo entrati col sentimento di 'sì o sì'; quando Thiago viene cacciato dal campo, la gente ha pensato 'è fatta'. Ed è quello che ho detto a Pep, dopo che la panchina del Barcellona aveva festeggiato l'espulsione. Mi sono avvicinato e gli ho detto 'tranquillo che non è finita'. Sapevo che era così, i miei giocatori erano mentalmente pronti per la lotta. In quella gara hanno vinto gli aspetti umani. Quando parlo della mia Inter cito sempre questo sentimento, abbiamo fatto qualcosa di speciale. La storia rimane la storia, il 22 maggio è il giorno dove noi abbiamo toccato il cielo, ma la famiglia conta più di tutto".
La famiglia.
"Ho speso più tempo con la famiglia del calcio che con quella vera. Se non ti senti felice con quella, è difficile avere successo. Ricordo che prima delle gare, ad Appiano rimanevano tanti giocatori. Anche mio figlio è entrato in quella dinamica di famiglia, è stato lì che si è veramente innamorato del calcio. A dieci anni sentiva il calore delle emozioni e dei rapporti. L'altro ieri, per esempio, sono stato al telefono con un autista dell'Inter. Voi direte, come è possibile una cosa così? I miei amici dell'Inter vanno più lontano di tutto quello che si può immaginare. Se mi chiedete perché non sono tornato a Milano dopo la finale, vi dico questo: se fossi tornato, sarei rimasto".
Messaggio di Julio Cesar: sei il migliore allenatore del mondo, pensando a quel Triplete mi viene la pelle d'oca e da piangere. Grazie mille di tutto, ti voglio molto bene. Mi devi una cena...
"Lui sa che io non spendo tanti soldi, per quello mi dice di pagare (ride ndr)".
Chi di quella squadra può diventare un grande tecnico.
"La cosa più importante è se uno vuole o non vuole diventare allenatore. Dopo 20 anni di calcio, tanti decidono di vivere un'altra vita per non avere la pressione di fare l'allenatore. Cambiasso? Ovviamente può essere un grande allenatore: i '6' hanno una visione privilegiata del gioco. Penso a Costinha, Matic e Xabi Alonso, tutti questi hanno la personalità che può rendere grande un allenatore. E poi il Cuchu vuole farlo, questa è la cosa importante. Ha già fatto esperienze come i Mondiali con la Colombia, si sta preparando per una bella carriera".
Messaggio di Cambiasso: purtroppo non possiamo festeggiare insieme il Triplete, ma rimane il ricordo e siamo più uniti che mai. E' stato un piacere essere allenati da te.
"E' un peccato che il signor Moratti voleva fare, riunendoci in questo anniversario. Sarebbe stato bellissimo, ma ancora più bello è che i miei ragazzi sono nella storia del calcio italiano e dell'Inter. Quando vado per strada, non in Italia perché non ci vengo spesso, quelli che mi fanno festa sono gli interisti. E mi dicono sempre le stesse parole: 'Grazie, graziw'. La gente non dimentica".
A Madrid sei salito sul palco col pallone.
"L'ho tenuto io quel pallone. Quel pallone ha giocato, è andato via dal campo nel primo tempo. Così ho detto a uno dei nostri magazzinieri: 'questo pallone è mio'. E lui me lo ha recuperato".
La corsa di Old Trafford dopo il gol del Porto la pensavi lunga e costellata di successi?
"Sarebbe ipocrita dire sapere cosa mi sarebbe successo. Un conto è avere fiducia in se stessi, un'altra è sapere che farei certe imprese. Quella corsa fu una corsa con lo stesso stile, potenza e velocità di Kiev dopo il gol di Milito. Anche se andai in direzione opposta, verso Julio Cesar".
Dal 2010 né lei né l'Inter avete rivinto la Champions, chi rivencerà per primo?
"Difficile da dire, non è facile vincere la Champions. Vediamo, io in questo momento sono in una squadra (Tottenham ndr) che non ha questa cultura della vittoria. Prima di vincere in Europa deve imporsi in Inghilterra, e non è facile: comunque questa è la ambizione mia e del club. Una Coppa Italia in dieci anni, per l'Inter, è pochissimo, inaccettabile. E' dura per i tifosi Però, per come stanno lavorando ora, non sarebbe una sorpresa vedere l'Inter tornare a vincere in Italia e in Europa".
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Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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