Il coetaneo Diego Milito sedeva spesso in panchina nella squadra di club. Lui invece era una delle stelline della selezione giovanile dei suoi tempi dell’Argentina Un potenziale crack che l’Inter si affrettò ad assicurarsi. Sixto Peralta ha collezionato 3 presenze in nerazzurro. Godendosi comunque ogni momento. E in esclusiva per FcInterNews racconta la sua esperienza.
Partiamo purtroppo con il Covid-19. Come passa la quarantena?
“Vivo a Comodoro, in Argentina. Nella provincia dove risiedo io fortunatamente la situazione sembra sotto controllo, però è chiaro che si debba stare a casa. Cerco di trascorrere il maggior tempo possibile con i miei tre figli”.
Argomento calcio. Lei arrivò all’Inter molto giovane.
“Avevo 20 anni. Era un’Inter che necessitava trionfi, voleva vincere. Con una rosa ricca di figure importanti. C’erano giocatori di livello mondiale. Tipo Blanc, un difensore di classe e caratura globali. Entrare in quello spogliatoio è stata un’esperienza molto bella, ho imparato molto”.
Cosa la colpì in particolare?
“Più un giocatore era forte e importante e più era umile. Sembra incredibile ma il più grande di tutto, il Fenomeno Ronaldo, era un ragazzo tranquillissimo, di un’umiltà pazzesca. Poi io fin da subito stabilii in bellissimo rapporto con tutti i sudamericani. Javier Zanetti mi aiutò per due mesi con la casa. C’erano Cordoba, mio compagno di stanza, Martin Rivas, Recoba, Zamorano: una banda che si prendeva cura dei più giovani. Mi trattavano in modo spettacolare. Erano figure mondiali: ma con me si rapportavano da ragazzi normalissimi. Questo è quello che ancora oggi resterà sempre nella mia memoria”.
Lei esordì subito con la casacca nerazzurra, nella Supercoppa Italiana persa contro la Lazio.
“Sì, giocai tutto il secondo tempo. La prima frazione non era andata bene. Nei successivi 45 minuti sfiorammo più volte il pareggio. Era una squadra nuova, con tanti innesti. Fu pure una bella partita, peccato che perdemmo 4-3”.
Perché secondo lei quell’Inter non vinse nulla?
“Io ero giovane, quindi magari non ero abituato a certe cose. Però ricordo un certo trambusto. Da fuori arrivano sempre notizie destabilizzanti. Avevamo il miglior tecnico del mondo, Marcello Lippi, ma sembrava che se non avessimo vinto ogni partita, sarebbe stato esonerato. Poi magari ha influito anche il fatto che la squadra fosse nuova e in quell’anno si erano da poco concluse Olimpiadi ed Europeo. Non ci fu il tempo per organizzarsi bene, pensi che venimmo eliminati dagli svedesi dell’Helsinborgs nei preliminari della Champions League: credo che su 100 partite, nel 99% dei casi avremmo vinto noi. Ma il calcio è fatto pure di storie di questo tipo”.
Cosa provò quando il suo rappresentante le disse di aver chiuso l’accordo con i nerazzurri?
“Io allora ero titolare dell’Argentina Under 20. E del Racing, insieme a Diego Milito. C’erano svariate indiscrezioni su di me. Poi quando il mio agente mi disse: “È fatta con l’Inter” provai emozioni contrastanti, data la mia età. Timore, grande allegria, incertezza. Da un momento all’altro mi ritrovai da giovanissimo in viaggio per l’Italia, per giocare in uno squadrone mondiale”.
Perché secondo lei Milito è arrivato così tardi ad indossare una casacca prestigiosa come quella nerazzurra?
“Ogni giocatore matura la sua propria carriera e segue distinte tappe. Diego ha avuto qualche difficoltà da giovanissimo. Pensi, io ero titolare dell’Argentina Sub-20 che al tempo era obbligata solo a vincere. Lui invece spesso faceva panchina pure nella nostra squadra di club, al Racing. Noi siamo coetanei. E poi come è finita? Che lui poi è cresciuto in modo esponenziale ed è diventato grandissimo. E nel momento migliore della sua storia si è potuto distinguere alla grande nel calcio mondiale. Si deve pure aggiungere poi che a parte le indiscutibili qualità, Milito ha sempre avuto la testa sulle spalle. E questo sicuramente lo ha aiutato molto”.
Quindi forse per lei è stato quasi un male arrivare all’Inter così giovane.
“Forse sì. Magari con qualche passo intermedio sarebbe stato meglio. Ma non possiamo saperlo. Certo, mi sarebbe piaciuto giocare 20-30 partite nell’Inter nel momento migliore della mia carriera. È una spina che resta, però non si può piangere sul latte versato”.
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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