Hai un momento, Lio?
Hai un momento, Lio? Suonava più o meno così l'inizio della preghiera che l'Inter, lo scorso 30 agosto, giorno dei sorteggi di Champions League, rivolgeva al cielo per farsi spiegare il significato del ribattezzato girone della morte che include Barcellona, Tottenham e Psv. La quarta fascia, i nerazzurri, l'hanno pagata tutta per i debiti accumulati in anni di esilio dall'Europa o di presenza mai digerita nella competizione B del vecchio continente.
A Icardi e compagni, così come ai tutti tifosi, premeva sapere dal Dio del calcio se il viaggio fosse unico o meno. Il 'sole di là' degli ottavi dopo una notte passata a rivedere le stelle sembrava così lontano per una squadra apparentemente così inesperta alla vita da palcoscenico. Sembrava, appunto, perché il momento tra sogno e realtà del 18 settembre contro gli Spurs nel giro di sette minuti è diventato lo spartiacque di una stagione in cui ricominciare a ricordarsi che esiste qualcosa per cui valga la pena credere: il passaggio del turno. Detto, fatto: Mauro Icardi prima e Matias Vecino poi hanno dato un senso a un'annata che poteva trovare un ostacolo insormontabile sul percorso già tortuoso che al traguardo regala la consapevolezza di essere una grande squadra. Lo slancio della coppia killer argentino-garra charrua ha permesso all'Inter di avere gli anticorpi allo svantaggio anche in Olanda, laddove nel catino del Philips Stadion Nainggolan e Maurito hanno provveduto a ribaltare il risultato dopo il siluro di Pablo Rosario. Portando a termine la missione neanche troppo segreta di Luciano Spalletti: fare sei punti nelle prime due gare per affrontare in doppia sfida consecutiva il Barcellona del sopracitato Messi. Che però, per via di una frattura del radio del braccio destro rimediata nel match con il Siviglia, osserva imperturbabile dalla tribuna nel suo bel gilet blaugrana l'esibizione di stile di Suarez e compagni del Camp Nou. Un 2-0 inevitabile che dice tutto ma anche niente, proprio perché la Pulce argentina è lì per non rispondere. Al massimo ride per la mossa del coccodrillo di Marcelo Brozovic, uno dei tanti stratagemmi architettati nel tempo dagli avversari per combattere la filosofia catalana ormai radicata da più di un decennio nel calcio.
Ecco, il modo di intendere il football da parte Barça è diventato scuola di pensiero prima di Messi e può essere professato senza Messi, a tal punto dal portare Spalletti a parlare tra le righe di ateismo: "Come dimostrano le gare del Barcellona senza di lui – ha detto Lucio prima della gara di martedì - lì c'è comunque una mentalità di massimo sviluppo del gioco che fa la differenza. Chiaro che Messi è la ciliegina. E' la maglietta che chiedono i bambini che sognano di diventare calciatori. E' segno che è il migliore. Tutti i grandi calciatori la toccano due volte la palla. Lui nello stesso tempo la tocca quattro, va al doppio. Però poi è chiaro che è la scuola che hanno dietro che li fa essere tra i più forti al mondo".
Talmente superiori che Messi non ha risposto all'invito nemmeno a San Siro, dove tutti gli appassionati si aspettavano avrebbe dedicato un attimo della sua attenzione calcistica all'Inter. Niente da fare, il motivo la Beneamata l'ha dovuto trovare in quell'inno che fa venire i brividi, all'interno di una competizione che nel Gioco non ha eguali a livello emozionale. E poco importa se Dio non era in sede, anzi: il pari acciuffato da Icardi a pochi minuti dal gong del secondo tempo dopo la pugnalata di Malcom ha creato alla Scala del Calcio e in tanti angoli sparsi nel globo tanti fedeli. I tifosi interisti che ora credono fermamente alla vita oltre il grupo de la muerte grazie al doppio risultato di Wembley.
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