Lettera a un allenatore (poco) amato
Caro mister Mazzarri (come vede ho adoperato la maiuscola),
Ho deciso di scriverLe per cercare di spiegarLe alcuni concetti fondamentali che devono essere patrimonio di un allenatore seduto sulla panchina più difficile, complicata e affascinante d’Italia (non mi allargo ma potrei dirle anche d’Europa o del Mondo).
In primo luogo; sono stato soddisfatto della Sua prima annata; ha avuto un gruppo incompleto a disposizione eppure, tra cambi societari e momentanei vuoti di potere, è riuscito nell’impresa di governare la barca pur tra mille tentennamenti e, non se ne abbia a male, scuse a volte puerili ed elementari.
Ma il mercato della scorsa estate, signor Mazzarri, Le aveva consegnato una squadra adatta (si rilegga qualche intervista di luglio-agosto, sono parole Sue, non mie) a ciò che Le avrebbe dovuto garantire un campionato di alto livello, con cambi di schemi e di ritmi. Non altissimo, ma alto; e, soprattutto, con una progettualità da Lei chiesta a gran voce. Di alibi, di calci d’angolo, di colpa di questo o quello non ne avremmo più sentito parlare, per fortuna. Si era aperta, ufficialmente, la prima stagione dell’era indonesiana; Thohir non mi sembra uomo di molte chiacchiere e poca sostanza. Semmai il contrario. Il Presidente ha ritenuto, a ragione o meno, di “liberarsi” da tutto quanto era appartenuto alla gestione precedente. Lo ha fatto senza urlare, senza alzare la voce. Di fatto, consegnando a Lei le chiavi della nuova squadra che stava nascendo.
Sa, signor Mazzarri, noi interisti siamo un popolo strano; viziati, umorali, poco pazienti. Ma abbiamo un amore infinito per i nostri colori. Nessuno come il tifoso interista sa rialzarsi dopo cadute spaventose. Nessuno sa gioire come noi. Nessuno si sente “accerchiato” quanto lo siamo noi, spesso soli contro tutti. E fieri di tifare Inter. Perché prima di tutto, prima di tutti, vengono i colori, l’appartenenza. Gli uomini passano. E da qui, mister, ne sono passati tanti. Ma quei colori, il nero e l’azzurro, dovevano diventare per Lei una seconda pelle; dovevano essere il Suo abito quotidiano. Senza entrare in quest’ottica la Sua avventura sarebbe miseramente fallita.
Il tifoso nerazzurro Le poteva perdonare prestazioni al limite dell’indecenza, ad esempio il derby di ritorno dello scorso campionato. O partite modello oratoriale come Catania, Chievo e chi più ne ha più ne metta durante lo scorso torneo. Ma, se non l’avesse sentita uno dei loro, non Le avrebbe perdonato più nulla.
Aveva un compito gravoso, mister. E, detto inter nos, non La invidiavo.
Ma aveva anche una grande occasione; quella di mostrarci davvero di che pasta fosse fatto.
Avrebbe potuto (e aggiungo, nota personale, dovuto) ricominciare da un leader riconosciuto; in campo e fuori. Ha avuto Vidic, ex capitano e bandiera del Manchester United, uno che nella sua carriera ha vinto tutto ciò che un calciatore può pensare di vincere col suo club di appartenenza. E l’ingaggio di Nemanja mi ricordava tanto quello di Luis Figo, Luigi per tutti noi. Un vincente, un uomo che, col suo carisma, fece crescere spaventosamente lo spogliatoio interista. Il leader. Quello che, in soldoni, trasformò i bravi ragazzi del 2002 nei vincenti del quinquennio 2006/2011. Ecco, Lei aveva questo patrimonio da cui ricominciare; e, glielo assicuro, non era poco. Ma ha scelto di imprigionarlo nel Suo scolastico schema, antico e noioso, 5-3-2 o 3-5-2. Sì, insomma, ha scelto di sacrificare l’uomo in funzione di un sistema di gioco. Trasformando il leone che conoscevo in un cucciolotto, a tratti impaurito.
Nessuno Le chiedeva di vincere il campionato, signor Mazzarri; non in questa stagione, perlomeno.
Personalmente il mio era il sentimento della maggior parte dei tifosi; che non Le hanno mai rimproverato l’impegno, quello nessuno si è mai permesso di metterlo in discussione, ma di certo la Sua intransigenza e il Suo integralismo sì. Lo sapevo, li sentivo.
Però, mi dia retta; sarebbe bastato davvero poco per cambiare opinione. Lei ha scelto di affondare con la Sua nave, senza cercare minimamente di salvarla. In nome di uno schema tattico. Di un credo a cui sacrificare una squadra.
Non cerchi fantasmi dove non ce ne sono, mister. Non cerchi cospirazioni laddove non ne esistono. È semplicemente andata male.
E, per chiudere, un piccolo ma piccolissimo consiglio a Roberto; prendi il filmato dell’ultima stracittadina e mostralo ai Tuoi calciatori: perché veri uomini, riguardando quella cosa oscena, dovrebbero caricarsi da soli. Hanno un debito da saldare. Domenica è il momento di pagarlo.