Quali macerie?
Non lamentiamoci del senso di vuoto generato dalle pause per le Nazionali, che poi là fuori viene giù il finimondo. Quanto successo in questi giorni, con la querelle Sabatini che è si è consumata con insolita rapidità e veemenza, lascia inevitabilmente macerie sul suolo e un minimo di sbigottimento nell’ambiente. Tutto vero, tutto comprensibile. Quel faccione rigato da vizi e notti in bianco, evidentemente, rassicurava, riduceva le distanze, rappresentava la voce amica in rappresentanza di una proprietà che, per vari motivi, amica ancora non è. Il suo addio ci fa sentire più soli, meno protetti, in condizioni simili, sostanzialmente, a quelle in cui si versava nell’epoca Thohir, quando però almeno non esistevano le grandi aspettative e le conseguenti importanti delusioni che si sono succedute da quando Suning si è presa l’Inter.
Ciò che più conta e desta perplessità, però, riguarda le motivazioni alla base della separazione consensuale tra le parti. Le tante, tribolate vicende di mercato delle ultime due finestre hanno come trovato una sorta di controprova evidente, agli occhi di tifosi e addetti ai lavori, nel’addio di Sabatini, nel suo “speravo si sarebbe potuta creare un’Inter più consistente”. L’addio di Sabatini è dunque diventato l’ultima arma acuminata a disposizione degli oppositori della nuova proprietà, che si prodigano molto nel raccogliere un ampio ventaglio di accuse da snocciolare sui vari social ma non mostrano la stessa solerzia nell’immaginare chi possa effettivamente rilevare un carrozzone non da poco come quello interista, peraltro operando anche quegli stessi investimenti che oggi si imputa a Suning di non effettuare.
Macerie ce ne sono, insomma, ma con uno sguardo maggiormente preciso occorrerebbe stabilirne l’entità, capire davvero di che macerie si tratti e di quante siano, perché l’esplosione della notizia di martedì, con le conseguenti parole del dirigente sotto la sede nerazzurra e l’immediata ufficialità della mattina seguente, ha fatto sentire i suoi echi in ogni dove, è stata variamente interpretata e magari ha potuto creare e scoperchiare questioni inesistenti o che, quantomeno, nulla hanno a che fare con ciò che può aver condotto l’ex Roma al passo d’addio.
Che Suning abbia finora manifestato un atteggiamento contraddittorio, talvolta schizofrenico, e che la sua condotta risulti in qualche modo ancor più inquietante a causa della nebbia di riservatezza e mancata comunicazione che vela ogni sua mossa, beh, è fuor di dubbio. Altrettanto evidenti – ché altrimenti Simonian non avrebbe passato il mese di gennaio a Milano – sono i molti tentativi di Ausilio e Sabatini sul mercato, con trattative press’a poco imbastite che sono fallite miseramente di fronte al diniego della proprietà. Tutto ciò, com’è facile da dedurre, avrà certamente accelerato, se non causato, lo sfaldarsi del rapporto professionale tra Sabatini e gli Zhang.
Ciò che occorre ribadire, però, è che l’Inter è altro. Che Sabatini, in realtà, si occupasse solo del nerazzurro, pur ricoprendo l’ormai famoso ruolo di intermediazione tra Suning e i suoi club, è una favoletta che ci siamo raccontati a lungo, ma nei fatti il mercato dell’Inter è sempre stato soprattutto prerogativa di Ausilio, cui vanno ascritti i meriti di Skriniar come le colpe su Dalbert. La stessa famosa cinghia di trasmissione che doveva essere costituita dall’ex Roma ha per la verità faticato a mostrarsi efficiente, dati i già analizzati problemi di comprensione che tutto l’ambiente interista sta avendo nei confronti di Suning.
Perdere Sabatini, insomma, significa perdere un grande uomo di calcio e, se vogliamo, un uomo meravigliosamente interista quanto a estetica e modo di porsi, forse meno nelle scellerate tempistiche con cui il suo addio si è consumato. Guai, però, a vedere in questo episodio i segni dell’Apocalisse. L’impressione, semmai, è che la situazione cambierà poco, e anzi il quadro sarà forse meno affollato e complicato di quanto non sia stato finora. Di sicuro, non esiste una buona ragione perché quanto è successo influisca sul campo di calcio. Lì bisogna dar seguito a un lavoro che è in gran parte lavoro di chi è ancora all’Inter, a partire dalla panchina. Lì, soprattutto, si decide l’Inter che verrà.