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Storie di pressioni e giocatori non pronti

di Gabriele Borzillo
Accipicchia, in questa settimana abbiamo saputo da Ansaldi che giocare a Genova è diverso rispetto a vestire la maglia dell’Inter; perché qui bisogna sempre pensare a vincere. Incredibile. E io che credevo che giocare al Meazza o allo stadio del paesello fosse la stessa cosa…tralasciamo, che mi viene l’orticaria. La domanda che mi pongo, ascoltando certe dichiarazioni, è: ma molti tra i calciatori della prima squadra hanno ben presente cosa significhi vestire la maglia dell’Inter? Perché così, a naso, ho come la sensazione che per una buona parte F.C. Internazionale sia un punto di approdo dove ricevere un bonifico maggiore a fine mese; brutta sensazione, purtroppo per adesso corroborata dai fatti, che vorrei tanto fossero diversi. Prendo un esempio a caso, episodio se volete marginale (per me no ma ci sono molti tifosi per i quali l’eliminazione dall’Europa è un bel chissenefrega) ma assai significativo; sono bastati quattro ragazzi che non giocano mai inseriti tra i soliti noti che, giovedì sera, la squadra ha mostrato se non altro un minimo di ardore agonistico in più. Certo, si potrebbe obiettare, contro i primi del girone già qualificati e con qualche seconda linea sul terreno di gioco; corretto, rispondo, peccato che noi fossimo del tutto trasfigurati rispetto al solito modo di stare in campo, con l’aggiunta di un esordiente qua e uno là e con altri in ruoli mai coperti prima. Un laboratorio dove sperimentare, insomma. Ed il rammarico aumenta a dismisura se penso che siamo stati cacciati a pedate, perché al di là della diplomazia spicciola questo è successo, da formazioni che con noi hanno zero da spartire; per storia, tradizione, cultura calcistica. Ma, grazie alla supponenza (io la chiamo così, ho sentito in giro di molto peggio), alla tracotanza e, soprattutto, alla non voglia di lottare mostrata partita dopo partita, abbiamo centrato una vera e propria impresa; eliminati da onesti pedatori i cui ingaggi, parlo dell’intera rosa, forse non arrivano in un paio di casi alla somma di quanto percepiscono tre o quattro nostri eroi messi insieme. Perché non sempre, nel calcio, ingaggio elevato è sinonimo di grande campione. O almeno non in questo periodo in casa Inter. Educare deve, non dovrebbe, essere il verbo più corrente ad Appiano Gentile. Educare su cosa sia l’Inter a livello mondiale. Educare su cosa significhi portare i colori del cielo e della notte sulle spalle. Educare sulla storia di questo club, sui personaggi che ne hanno vestito la maglia, sulle parole e gli aforismi del grande Peppino Prisco, che ci manca come mai nessun altro in questo momento ed a cui vanno i pensieri di tutto l’universo interista. Educare su chi siano stati i presidenti del club, sulla serie B che noi NON conosciamo, unici nel Bel Paese a non essere mai retrocessi né sul campo né, tantomeno, in tribunale. Alla faccia di chi ci vuole male o vagheggia su chissà quali complotti nell’universo pallonaro italiota. Educare. Perché, mi scusi sa Ansaldi, ma non si dice nemmeno per scherzo che giocare a Milano è diverso; si sa già, lo deve sapere Lei e come Lei tutti gli altri. Ma prima di vestire il nerazzurro; lo si deve sapere da quando si firma il contratto cos’è il mondo Inter, quali onori si hanno facendo parte di questo Club e quali sono gli oneri. Milioni e milioni di tifosi sparsi per il mondo che aspettano, ogni settimana, di veder scendere in campo una delle squadre più blasonate, vincenti e famose di tutto l’universo a noi noto. Se non fosse così chiunque potrebbe portare la maglia dell’Inter; salvo poi non essere in grado di sopportarne il peso. Stefano Pioli dixit: “a gennaio sfoltiremo la rosa”. Ottimo, era anche ora aggiungo. E non tanto perché ventinove, a memoria ne conta così la rosa della prima squadra, siano troppi. O, meglio, sono troppi. Ma, ahimè, di questi almeno sette/otto del tutto inutili alla causa, slegati dal contesto, capaci esclusivamente di ritirare lo stipendio a fine mese e, quando possibile, cercare di seminare un po’ di zizzania che non guasta mai. Facce appese, reattività se vengono chiamati all’azione degna di un bradipo; pertanto, stante la situazione in codesta maniera, che facciano pure le valigie per destinazioni ignote. Ma lontano, molto lontano da qui. Dove potranno trovare nuovi stimoli, nuove avventure; amati, coccolati e vezzeggiati come delle starlette avendo dimostrato, all’ombra della Madonnina, di poter ricoprire casomai il ruolo di ballerini di seconda fila. Ma la storia del calcio è piena di personaggi dati per morti (sportivamente parlando, si intende) in una piazza e miracolosamente risorti cambiando aria; qualcuno, per la verità, è arrivato anche da noi con l’etichetta del poco abile trasformandosi poi in un principe con la spada sguainata che galoppava sul suo cavallo bianco brandendo lo scudo dove campeggiava l’immagine del biscione meneghino contornato dal nero e dall’azzurro…chiedo scusa per il momento favolistico ma in questo periodo, calcisticamente, devo ricorrere spesso all’immaginazione per non cadere in una depressione da lettino psichiatrico. In soldoni, comunque, a gennaio si taglierà. Perché qui non si tratta di sfoltire; no, si tratta proprio di tagliare salutando, adoro questa frase di Totò, indistintamente. Ringraziando, perché noi siamo Signori, con la esse maiuscola, prima che Bauscia. E, nonostante le disavventure alle quali i nostri eroi ci obbligano spesso e malvolentieri ad assistere, sempre i più presenti sugli spalti a sostenere, a tifare, a cantare e, perché no, a smoccolare con piacere; secondo i dati più recenti l’Inter richiama settimanalmente una media di oltre 45.000 spettatori, la più alta in Italia. Con l’aria che tira numeri da paura, sui quali la Società dovrebbe fare accurate riflessioni; cioè, se in un momento del genere il tifoso interista continua imperterrito a frequentare i gelidi gradoni del Meazza, significa che appena appena il rendimento dei nostri eroi dovesse arrivare a livelli di una stiracchiata sufficienza ci saranno più presenze allo stadio. E così via. Ecco perché è necessario costruire qualcosa di importante, partendo però dalle fondamenta e non acquistando come si è fatto la scorsa estate, mal consigliati, spendendo oltre settantacinque milioni; no, dico, settantacinque milioni. Che se si fossero presi quelli che servivano veramente…inutile comunque tornare indietro, non serve a nulla. Però si, però ciò che è capitato deve servire da lezione. Altrimenti si corre il serio rischio di seguire ancora i consigli di uno a caso il quale pensa ai fatti suoi, fa spendere altre vagonate di milioni giusto per rifilare qualche suo adepto e bon, mercato bello che fatto. Ecco, a proposito di soldi spesi non si capisce bene come; ma possibile che Gabriel Barbosa sia così tanto indietro di preparazione, così acerbo, così poco capace da essere, in una ipotetica classifica meritocratica, alle spalle di tutti gli attaccanti attualmente in rosa, Primavera compresi? Cioè, questo ragazzo che cos’ha? Perché davvero, per cortesia, non continuiamo a raccontare la storiella del non pronto. Parlo per me stesso, chiaro, ma affermazioni di questo genere offendono la mia già tenue intelligenza. Sono curioso di sapere; perché è vero che Pioli vede i giocatori in allenamento e decide chi schierare - da qui la scelta Kondogbia il quale, durante la settimana, sembra sempre un iradiddio salvo poi spegnersi in campo -. Ma se il criterio è questo beh, scusate…avete visto Gabriel Barbosa in allenamento? Perché qualche spezzone a me è capitato sotto gli occhi. E tanto male il ragazzo non sembra. Così, giusto per dire. Amatela, sempre. #soloperlamaglia. E buona domenica a Voi!
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