Doveva essere il giorno più lungo, quello di un funerale già scritto non prima di una lunga agonia, l’ultimo atto di una parentesi che pareva ad un certo punto essere anche promettente salvo poi naufragare nell’abulia, nella confusione ad ogni livello dentro e fuori dal campo. E con lui pronto a essere immolato sull’altare della ricerca di un colpevole che faccia tana libera tutti, pronto a cantare e portare la croce per espiare le colpe di un intero collettivo che non sembra invece brillare per candore in una situazione grottesca come mai forse era successo negli anni recenti, dove comunque di momenti bui se ne erano visti eccome. Ma se proprio doveva essere la sua ultima recita italiana, allora Frank de Boer ha voluto perlomeno regalarsi un piatto del buon ricordo con i fiocchi, regalando e regalandosi un’Inter come da un bel po’ di tempo non si vedeva, capace di matare un Torino che veniva da un bel periodo di forma e che magari pregustava di partecipare ad un’abbuffata che in tanti, troppi avevano precipitosamente prefigurato.
PENNAC NON ABITA QUI – Eppure, come detto, le prerogative per una nuova serata funesta, a detta di tutte le cassandre, c’erano tutte: De Boer ‘dead man walking’, De Boer che dirige stasera la sua ultima orchestra e poi torna mesto in Olanda, con questo nome piuttosto che quell’altro pronto a traghettare, navigare a vista, turare le falle alla barca e chi più ne ha più ne metta. Chissà, magari sarà così, magari nelle prossime ore chi di dovere (ma chi?) deciderà di non farsi incantare dal risultato di ieri sera. Anche perché le dichiarazioni dell’immediato pre-partita firmate Erick Thohir, se lette tra le righe, non suonavano di certo come pienamente tranquillizzanti, anche nonostante la fiducia confermata faccia a faccia. Eppure, proprio nel momento in cui le sabbie mobili sembravano ingoiarlo fino in fondo, il tecnico di Hoorn ritrova all’improvviso una cosa importantissima: le idee chiare. E soprattutto il modo ideale per metterle sul campo: il Torino che arrivava a Milano pronto a compiere il nuovo blitz per tutto il primo tempo non vede praticamente il pallone, e poco importa che il primo gol arrivi soprattutto su un’imprecisione del portiere granata Joe Hart (quella palla fina di Antonio Candreva…). L’Inter è ordinata e quadrata come raramente lo era stata negli ultimi tempi. Nella ripresa tenderà a sfilacciarsi di più facendo prendere un po’ di fiducia agli avversari ma senza mai dare l’impressione di perdere definitivamente la trebisonda. Il gol nel finale di Mauro Icardi è un giusto premio dopo parecchi episodi sfortunati e dopo una gara che, chissà, magari ridarà l’autostima necessaria a questa squadra. In quanto al tecnico, lui forse la sua autostima non l’ha mai perduta. E ieri sera ha dimostrato che a fare il Benjamin Malaussene capro espiatorio della situazione non vuole proprio starci.
E MAUROGOL, MAUROGOL, MAUROGOL… – Se c’è una persona che avrà avuto il prurito nelle mani per cancellare in fretta e furia questo ottobre nero, questo è sicuramente Mauro Icardi. Che in questo mese è stato costantemente nell’occhio del ciclone, finito sotto tiro da parte della critica, della Curva, di leggende del calcio che però fuori dal campo tanto leggende non lo sono state, fra poco anche del passante involontario dalle parti di Corso Vittorio Emanuele avrebbe avuto modo di bastonarlo. Un mese davvero brutto, quello del capitano nerazzurro, a secco di gol tra campionato ed Europa League da ben sei turni, quelli in cui l’Inter ha faticato pesantemente a portare avanti la carretta. Ma quella di ieri era indubbiamente la serata delle grandi risposte e allora anche Maurito ha deciso di prendere parte alla cerimonia nel migliore dei modi, ovvero rispolverando quella fame di gol che sembrava smarrita nel profondo del tunnel nel quale è precipitata tutta l’Inter. Due reti, una per ogni porta, la prima magari un po’ fortunata ma la seconda che rimane impressa come un highlight: passaggio, controllo, girata e tiro fulmineo e potente che flasha Hart e si infila prepotente sotto la traversa. Sì, è vero: in quel gesto, in quella movenza da pantera, i nostalgici avranno avuto sicuramente rivisto le mosse che fecero grande Gabriel Omar Batistuta, uno dei padri putativi calcistici dell’attaccante rosarino. Nell’Inter che aveva bisogno più che mai di ritrovare il gusto delle cose semplici ed efficaci, Icardi non poteva esimersi dal ritrovare quanto di meglio riesce a fare con semplicità ed efficacia: i gol.
IL GENIETTO – Intorno a Mauro Icardi, comunque, ieri si è vista una squadra che nel complesso ha girato bene tutta. Con alcune individualità rimarchevoli: un Joao Miranda che prende Andrea Belotti e Maxi Lopez e se li porta a spasso, pagando colpe non sue in occasione del gol dell’attaccante azzurro; un Joao Mario che regala qualità lì dove impera la sostanza di Gary Medel, un Antonio Candreva sempre generoso. Ma soprattutto, c’è un giocatore intorno al quale c’era l’alto rischio di vedere scoppiare un nuovo caso vista l’assenza nelle ultime partite: Ever Banega non si è scomposto e una volta tornato in campo ha fatto capire di che pasta è fatto. L’ex Siviglia non è un rebus, non è un giocatore di difficile collocazione: al contrario, è il classico elemento che se messo nelle condizioni ideali è in grado di disegnare calcio sopraffino. Si prende sulle spalle la squadra, inventa geometrie col supporto del portoghese e di un Marcelo Brozovic che sarà stato più sciagurato dell’Egidio sotto porta ma che comunque ha fatto vedere di aver ritrovato almeno lo smalto e la voglia di fare bene, parte lancia in resta e guida gli attacchi. In un centrocampo che ha puntato, per necessità forse prima ancora che per convinzione, Banega è sicuramente quel tocco in più che fa la differenza.
SARA’ QUEL CHE SARA’ – Arriva la vittoria, finalmente si va a dormire con il sorriso e si affronta il nuovo giorno con più serenità. Ma questo squarcio nella nebbia varrà il prevalere futuro del cielo sereno intorno a Frank de Boer? La situazione ancora non è definita, anche nonostante le parole di conforto post-partita di Massimo Moratti. Ovvio che la data segnata in rosso sia quella di venerdì, quella della fatidica assemblea dei soci dove il gruppo Suning delineerà le linee guida per il futuro. Senza Erick Thohir, costretto a tornare in fretta e furia in Indonesia per il complicarsi delle condizioni di salute del padre Teddy (coraggio!). A De Boer non resta che attendere, senza scomporsi come ha dimostrato di saper fare ieri. E con la coscienza a posto, che gli può far dire che, se dovesse succedere quello che tutti hanno previsto, magari a pagare, mai come stavolta, non sarebbe l’uomo giusto…
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