Può essere definita quanto meno azzardata la scelta di ‘mettere alla porta’ Roberto Mancini a soli tredici giorni dall’inizio del campionato. Il cambio di allenatore rappresenta sempre un momento di spaccatura, che costringe a ripartire con nuove idee, concetti, nuovi modi di gestione di ogni minimo dettaglio come i rapporti con i calciatori, la stampa, i tifosi. Se si pensa ad ogni dettaglio da dover ricostruire, con alle porte una stagione, e una preparazione svolta con metodologie diverse di allenare, tutto ciò fa sorgere un fisiologico allarmismo che dà la sensazione di un anno zero, anzi quasi meno uno, se si pensa che il tempo dell’ormai neo tecnico nerazzurro Frank de Boer è risicato per pensare di costruire e far assimilare nuovi concetti di gioco.
La strada, è chiaro, sarà in salita: De Boer non conosce il mondo italiano del pallone, non ci ha giocato, non ha allenato in Italia, e non conosce la lingua che può essere un modo per velocizzare la comprensione non solo con i calciatori ma con tutto l’ingranaggio calcistico italiano (la prima conferenza stampa di Mou, in italiano, non fu una preparazione della lingua fine a sé stessa).
L’azzardo della scelta metterà a dura prova il tecnico olandese: l’Inter ha praticamente acquistato calciatori da 4-2-3-1, in ultimo Antonio Candreva, che certamente può interpretare altri ruoli di fascia, ma è chiaro che l’italiano rappresentava l’acquisto del calciatore capace di spaziare su un modulo che prevedeva l’apertura degli esterni nei 30 metri finali con il gioco del trequartista, Ever Banega, tenuto qualche metro più alto.
Frank De Boer è un amante del 4-3-3, un modulo-credo in Olanda, anche se ha spesso scelto di applicare il 4-2-3-1. Certamente non basta mettere le pedine sulla lavagna in maniera uguale, ma è importante cosa chiede un tecnico ai calciatori, dopo aver disposto le pedine. La filosofia dell’ex Ajax nasce dalla scuola (ovviamente) di Johann Cruijff, che ha sempre prediletto il gioco palla a terra alla ricerca del compagno smarcato tramite velocità di esecuzione del passaggio. Se riesce, è chiaramente semplice arrivare al tiro; se non riesce, la squadra si appiattisce e non arriva quasi mai in porta. Non è un caso infatti che l’Ajax avesse una grande percentuale di possesso palla (55% di media) ma una bassa precisione al tiro (31%). Tra Olanda e Italia ci sono fiumi di filosofie calcistiche differenti, approcci totalmente opposti, pressioni diverse, insomma, è chiaramente difficile pensare di poter sovrapporre numeri e filosofie come fosse tutto automatico, ma è chiaro che ogni allenatore vuole portare il suo modo di intendere il calcio e De Boer svolgerà il suo lavoro nonostante il tempo gli giochi contro.
L’olandese chiede alla squadra di tenere il baricentro alto (a differenza dell’Inter fino ad ora vista che ha sempre preferito il baricentro medio-basso per inglobare gli avversari nella metà campo) e portare il pressing sulla linea difensiva con una certa costanza. Il pressing non è solo sul portatore di palla, ma è anche passivo, quindi chi lo sviluppa fa seguire la linea di diagonale per togliere facili linee di passaggio agli avversari, quindi per costringere gli stessi a velocizzare l’azione per indurli all’errore. Tutto giusto, se non per il fatto che in Italia è difficile trovare una squadra che accetti di velocizzare il gioco, soprattutto a ‘San Siro’. Avere comunque il pressing alto, per una squadra fisica come quella nerazzurra, può essere uno svantaggio: sono spesso emersi problemi nella passata stagione che riguardavano gli spazi tra i reparti. Se la squadra gioca alta ma non ha caratteristiche per farlo per ovvi motivi, il rischio è di lasciare all’avversario la possibilità di attaccare gli spazi e sviluppare gioco su quelli. In genere questo gioco deve essere accompagnato da movimenti coesi, che portino la squadra a chiudersi al massimo in 30 metri e che creino difficoltà nello sviluppo del gioco avversario che difficilmente potrà allargare in verticale se trova un ‘blocco’ di uomini capace di muoversi perfettamente in diagonale. De Boer predilige la riconquista immediata del pallone, che va contro il numero e la zona dove l’Inter è abituata al recupero, ossia davanti la difesa, e oltre che per mentalità, questa caratteristica si evince dall’assenza di interni capaci di attaccare costantemente gli spazi sia in situazione di possesso che di non possesso.
L’Inter insomma dovrà abituarsi (ammesso ci riesca) a diventare una squadra meno da contropiede e più da gioco palla a terra. Non vi è l’intenzione di demonizzare nessuno dei due modi di intendere e fare calcio, ma è chiaro che bisogna capire quanto sia difficile un cambio così repentino di mentalità con uomini non proprio assimilabili alle idee di gioco del nuovo allenatore.
Se si va a valutare l’uscita della palla, momento cardine nella costruzione del gioco, se fino a ieri l’Inter ha impostato un’uscita larga, con i terzini coinvolti nell’esecuzione d’uscita (Mancini predilige il coinvolgimento dei terzini per poi cercare il perno centrale alto) ora invece l’uscita della sfera deve partire dai piedi del centrale di difesa e possibilmente restare lì fino a che la squadra non abbia alzato il baricentro sulla linea di centrocampo. De Boer vuole portare la pressione agli avversari già con la densità degli uomini che alzano la propria linea, ma è normale che per fare questo bisogna che il centrale sia abile nel gioco palla a terra; Miranda è sì un ottimo centrale, ma non sposa perfettamente le caratteristiche sopra citate. Una volta creata la densità, comunque, la squadra deve giocare numerose triangolazioni con il cucitore di gioco (quindi Banega nel caso nerazzurro) che coinvolga così i giocatori di fascia, permettendo quindi agli interni di attaccare gli spazi in modo che questi diventino quasi attaccanti aggiunti (il ruolo di Klaassen, autore di 15 gol nella passata stagione, è emblematico). Importante è che si crei una squadra sempre coinvolta nelle trame di gioco, capace di giocare in orizzontale almeno con 2-3 soluzioni di passaggio e che sappia scegliere il momento giusto per andare in verticale, prediligendo la palla a terra. Se si tiene in considerazione il gioco in orizzontale come momento costante del gioco di Frank De Boer, è importante considerare alcuni aspetti che in Italia, e nello specifico nello scacchiere nerazzurro, possono produrre esiti negativi: se in Serie A si conduce il gioco costantemente in orizzontale, bisogna avere a disposizione calciatori capaci di dare superiorità attraverso il dribbling (e l’Inter non ha veri uomini da uno contro uno se non Perisic), oppure le difese avversarie vanno a nozze con il giro palla lontano dall’area che permette di sistemarsi con quanti più uomini possibili dietro la linea del pallone. La possibilità di sopperire in qualche modo a questa possibile ‘carenza’ sta nell’avere una punta di movimento capace di aprire gli spazi portando fuori dalla diagonale o il centrale di difesa o addirittura, se la situazione lo richiede, quello di centrocampo. Mauro Icardi è certamente un goleador ma non è assolutamente una punta di movimento capace di spaziare per poi attaccare la porta. Mauro è bravo negli ultimi 25 metri ad attaccare il difensore sul lato debole, ricevere il filtrante e andare al tiro, ma non è una punta capace di coadiuvare trame di gioco e ulteriori soluzioni di passaggio. Se quindi la squadra abusa di un gioco fatto di numerosi passaggi laterali, il rischio è di creare una spaccatura tra centrocampo e difesa che difficilmente porterà al tiro e soprattutto il rischio concreto è di tenere Maurito completamente isolato dal contesto di gioco.
Infine, nel valutare le transizioni, se per quella offensiva il principio deve partire dal recupero alto, per quella difensiva spesso (nell’Ajax ovviamente) si è potuto notare come il centrocampo difetti di qualche secondo in fase di ripiegamento. È facile attaccare gli spazi di una squadra che tiene alti i propri interni, e questo può essere un problema non da poco per l’Inter che spesso verrà attaccata in contropiede.
Certamente non si può, come detto, valutare il gioco di De Boer in Olanda e sovrapporlo a quello italiano con estrema facilità, e questo va dalle spaziature del campo (in Olanda larghissime, in Italia fitte), alla lettura di gioco più difensivista degli avversari, fino alle caratteristiche che l’Inter fino ad ora ha cercato di impostare con l’ormai ex tecnico Roberto Mancini. Quello che bisogna capire è che in soli tredici giorni non esiste un tecnico capace di fare miracoli, soprattutto in un mondo particolare come quello del calcio italiano, nella fattispecie sconosciuto. Ed è grande la paura di dover ripartire da zero per l’ennesima stagione e dover rimandare progetti da grande squadra. Certe scelte, soprattutto per questioni tecnico-tattiche, non possono essere fatte a così poca distanza temporale dal via. Frank De Boer ha avuto grande coraggio ad accettare l’avventura in una squadra di fatto non sua, compiendo un vero salto nel vuoto in una stagione con più di un punto interrogativo. Bisognerà vedere quanto la nuova Inter riuscirà ad assimilare le indicazioni del nuovo tecnico, in quanto tempo, ma soprattutto se questa risulterà una ricetta vincente.
Ernesto D’Ambrosio
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