Se la domenica ami prendertela con comodo, ti svegli più tardi del solito o, semplicemente, hai l’occhietto appesantito dai postumi di un sabato da campioni, il lunch match delle 12.30 sarà ben poco lunch, ma diventerà piuttosto quel momento in cui ti desti amabilmente dal torpore a suon di caffè e Serie A. Tra uno sbadiglio e l’altro, allo stadio o sul divano di casa, con naturalezza ti stiracchierai ben oltre i limiti dell’urbana decenza, o semplicemente ti stropicci gli occhi perché si aprano meglio. Una volta, due volte, tre volte di fila, se serve. Quante ne sono occorse ieri a un interista per accettare il fatto che quello cui stava assistendo era uno spettacolo reale?
Roba da non crederci, dal momento che non abbiamo modo di verificare giorno per giorno gli eventuali progressi dei ragazzi di Spalletti in settimana. Di colpo, la veste di insicurezza e vera e propria ansia da prestazione che imbrigliava i gesti e le scelte in campo dei nerazzurri sembra scivolata a terra, e perciò l’Inter ha potuto esprimersi a un livello tecnico già visto soltanto tre, quattro volte in stagione. Forse neppure, in realtà. Dal 3 dicembre, giorno della sfavillante prova di Inter-Chievo e data ormai tristemente famosa e rimpianta, come fa una coppia in crisi nei confronti di quella cena a lume di candela in cui volarono gli ultimi occhi dolci, la rosa nerazzurra ha infatti accolto le geometrie di Rafinha, uno che ha studiato calcio nella migliore università del mondo; soprattutto, se mi si consente, c’è in più un signor Cancelo che non è soltanto un’aggiunta, ma un fattore.
Nessuno, dai tempi di Maicon, aveva inciso così tanto sull’economia offensiva dell’Inter a partire da una posizione che, in Italia, è ancora ritenuta come prettamente difensiva, e pazienza se già Sacchi ci insegnò che un terzino non è uno stopper. C’è di più: non c’è nulla di oltraggioso per la rosa nerazzurra nell’affermare che Cancelo è il giocatore più tecnico che calchi i campi di Appiano Gentile, pur essendo un laterale difensivo. La verità, appunto, è che il portoghese non è soltanto un laterale difensivo: crossa come nessuno, in corsa e da fermo, e quasi mai un suo traversone muore senza prima aver messo a dura prova la serenità mentale di chi, dall’altra parte, è chiamato a marcare e anticipare. Quando viene dentro il campo, poi, Cancelo dialoga coi centrocampisti come e meglio di loro: negli occhi resta, su tutto, un’apertura illuminante, a saltare la prima opposizione della Sampdoria, con cui ha pescato Rafinha a metà campo, apertura che peraltro ha tirato fuori dal cilindro con una facilità quasi scioccante, manco quel pallone fosse stato consegnato a domicilio.
In mezzo, poi, le belle notizie son tante: Gagliardini e Brozovic sono in quella fase in cui non puoi toglierli dal campo, come pure era capitato, in un altro momento della stagione, a Vecino e Borja Valero. Chi scrive è convinto che nella mediana nerazzurra non ci sia nessun elemento imprescindibile, nessun titolare senza se e senza ma, ché per qualità i quattro si assomigliano tutti. Brozovic, senz’altro, avrebbe le carte in regola per essere il top del reparto, ma i suoi vagabondaggi mentali li conosciamo bene, e possiamo soltanto auspicare che il classe ’92, crescendo, si cristallizzi su un livello da mezzala totale quale può e sa essere, piuttosto che in quell’aurea mediocrità cui ci ha abituato. L’azzurro, dal canto suo, è tornato a ricordarsi che il campo ha tre dimensioni, e dunque ha di nuovo unito alla stazza e al sacrificio quella preziosa attitudine al movimento in verticale che risulta assai arrembante e decisiva quando c’è da andare a pressare il primo portatore di palla avversario. Prima o poi caleranno, e i due ex viola torneranno alla ribalta, ma è consolante sapere come almeno due dei quattro centrocampisti siano adesso in uno stato di forma invidiabile.
C’è poi una questione, annosa e dunque dibattuta a sufficienza, cui andrebbero dedicate poche righe oppure un intero libello polemico nel quale denunciare un lungo elenco di mali che affliggono da anni l’ambiente interista e spesso collaborano alla prevedibile disfatta finale. Mauro Icardi è un gioiello, una fortuna, e noi che lo indossiamo dovremmo esserne fieri, soprattutto in considerazione del fatto che il portagioie non può fregiarsi di molte altre perle dal valore simile. L’argentino non è, né forse sarà mai, quello che ti inventa la giocata. Esiste però un rapporto, tra lui e il resto dell’Inter, ed è una corrispondenza biunivoca: l’Inter dipende da Icardi, ché con Eder cambia di gran lunga il potere mortifero del calcio nerazzurro; di contro, Icardi dipende dall’Inter, e inevitabilmente dà il suo meglio quando dietro di lui esiste una coralità che procede più o meno a memoria. In questo caso, il rosarino non solo intercetta e accompagna in rete ogni moscerino che voli dalle sue parti, ma diventa anche trainante, e perfino le sue numerose corse a vuoto alla ricerca di un pallone si trasformano immediatamente in utilissimi atti di altruismo. Bando alle ciance sull’opportunità di farlo capitano, all’epoca: il dado è tratto, e il ragazzo a 25 anni ha imparato ciò che doveva imparare, e si esprime (e vive) con una maturità che molti suoi coetanei in genere tirano fuori soltanto quando c’è da chiedere il numero a una biondina al bancone. Il fatto tecnico, poi, non può davvero essere reputato un problema, soprattutto in questi anni di vacche magre: ogni tentativo in tal senso è un’operazione di clickbaiting, dunque sarebbe il caso di guardarsene bene.
Nel giorno dei 103 gol in Serie A, e delle 100 realizzazioni di Icardi in maglia nerazzurra, l’Inter è tornata a guardare con gioia alla classifica, forte anche di un ritrovato quarto posto. Tutto suona bene, parecchi interpreti (vedi Perisic) son tornati ad avere gli strumenti caldi e accordati: come ogni orchestra che si rispetti, dopo gli alti e i bassi che sono fisiologici in un’esibizione, c’è adesso da suonare in crescendo il gran finale, ciò di cui tutti si ricorderanno. Non c’è esitazione che tenga: un gran finale non si può sbagliare.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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