Un’agonia. O forse no. Tutto come l’anno scorso. Ma anche no. Il campionato di Serie A si sta chiudendo su binari paralleli e non conciliabili rispetto all’epilogo di una stagione fa. Riportando il calendario indietro di dodici mesi, di questi tempi si parlava di una Juventus che vedeva gli spettri dopo che la zuccata vincente di Kalidou Koulibaly aveva permesso al Napoli di sbancare l’Allianz Stadium portandosi a meno uno dalla vetta a poche giornate dalla fine, con la Juve attesa da uno scontro ad altissima tensione con l’Inter che poi… Sappiamo tutti come è andata a finire. Una rotazione della Terra intorno al Sole dopo, la Juventus ha già matematicamente festeggiato il suo nuovo scudetto praticamente già annunciato in partenza, mentre il Napoli, sfumata malamente anche l’Europa League, dà l’impressione di avere spento la luce con largo anticipo capitolando in casa con l’Atalanta e ora senza potersi dire nemmeno più così tanto sicuro del secondo posto. Deciso passo indietro, viste le ambizioni e i proclami che hanno accompagnato l’arrivo di Carlo Ancelotti.
E la corsa ai piazzamenti Champions, ovvero quello che ormai è diventato l’unico, concreto motivo di interesse di questo campionato grigio e svuotato di qualunque significato? Anche quest’anno, si sta rivelando un vero e proprio torneo di ciapanò con l’aggravante che adesso il tavolo si è incredibilmente allargato. Se infatti di questi tempi un anno fa a contendersi fino alla fine il quarto posto utile erano l’Inter e la Lazio, con la finalissima del 20 maggio che sappiamo tutti anche quella com’è andata, adesso ad ambire a quel posticino che garantisce la gloria (e i soldi) della massima competizione europea per club sono in tante, dal Milan che sembrava lanciatissimo dopo il sorpasso ai cugini nerazzurri e che ora vede le streghe dopo i due punti buttati incredibilmente alle ortiche a Parma, all’Atalanta che ormai è illogico definire una sorpresa, alla Roma che superate le tortuosità di qualche settimana fa rimane tutto sommato ancora ben agganciata a questo treno, fino al Torino che domenica avrà l’occasione di un clamoroso all-in nella sfida interna proprio contro il Milan e alla Lazio ancora dentro per un discorso aritmetico ma che nel giorno dell’incredibile ko interno contro il già retrocesso Chievo ha dato segnali di tensione eloquenti.
La borghesia del campionato si allarga, in un campionato che va sempre più imborghesendosi; questo non può essere assolutamente un caso. In mezzo a tutto questo, poi, c’è l’Inter. Che non ha ancora il conforto dell’aritmetica a certificare l’accesso alla prossima Champions e che quindi continua logicamente a figurare nelle varie tabelle di comparazione dei calendari delle varie contendenti, ma che comunque arriva al rettilineo finale con un vantaggio più che discreto che le permette di tenersi ancora ben saldo il terzo posto. Basta davvero poco alla squadra di Luciano Spalletti per garantirsi il podio del campionato, dal quale manca dalla stagione 2010-2011; il calendario, infatti, a due impegni comunque gravosi come quelli con Juventus e Napoli, propone infatti anche match sulla carta abbordabili come quelli con Udinese, Chievo ed Empoli, due su tre ancora in piena corsa per la salvezza. Non servono poi tanti punti per chiudere la questione, senza nemmeno troppo badare allo spirito con il quale le avversarie arriveranno ai vari appuntamenti.
Perché in primis bisognerà badare allo spirito dell’Inter, quello vincente che porta a cogliere le occasioni giuste per portare a casa i risultati; un piccolissimo dettaglio che però sin qui ha fatto enorme difetto agli uomini di Spalletti. Il danno maggiore, evidentemente, i nerazzurri lo hanno avuto in Champions League, dove a fare la differenza, in un girone che ha consegnato al torneo due semifinaliste, è stato alla fine il primo gol subito da Christian Eriksen, ma dove l’Inter aveva comunque l’obbligo morale di giocare meglio le proprie carte, soprattutto l’ultima contro il Psv Eindhoven, in un gruppo che era diventato clamorosamente favorevole (l’Europa League, volenti o nolenti, fa davvero pochissimo testo). Ma anche in campionato, anzi negli ultimi due campionati, il refrain si è riproposto con una regolarità a tratti irritante, con partite cruciali giocate decisamente sottotono, quando non in maniera orribile.
Sabato, contro la Roma, per ampi tratti di partita è sembrato un déjà-vu del match contro la Lazio: avvio promettente, poi gol subito all’improvviso e luce che salta via, tanto possesso palla ma idee rasenti lo zero. Se non fosse stato per il volo d’angelo di Ivan Perisic avremmo probabilmente parlato di un’altra storia, pur riconoscendo che alla fine un punto andava complessivamente bene ad entrambe le fazioni. Ma anche in questa vigilia di Pasqua, sono venuti fuori dei limiti di personalità del gruppo; probabilmente specchio dell’atteggiamento dell’allenatore, ancora di più sentinella della consistenza di una rosa che non era, anzi non è mai stata, quella per la quale si spendevano spericolate lodi ed etichette ad inizio stagione, un trucchetto facile da smascherare ma nel quale qualcuno ha voluto cascarci fino in fondo. Semplicemente, un organico imperfetto, costruito però per un determinato obiettivo, quello del consolidamento nelle posizioni che valgono l’Europa che conta, che alla fine, tra una burrasca e l’altra, è ormai pressoché praticamente raggiunto.
È stata una Pasqua contraddistinta da due grandi imprese sportive: gli olandesi, dopo aver celebrato il capolavoro dell’Ajax capace di guadagnarsi la semifinale di Champions League ricacciando la Juventus in un incubo che sembra davvero senza fine, al di là di dichiarazioni e tentativi vari di consolazione, hanno esultato per la follia vincente di Mathieu van der Poel, capace con una clamorosa fucilata di conquistare l’Amstel Gold Race di ciclismo fulminando il duo composto da Jakob Fuglsang e Julian Alaphilippe, raggiunti e beffati a 300 metri dal traguardo dal ciclocrossista capace di ripetere il successo ottenuto nel 1990 dal padre. Un po’ più a sud, a Montecarlo, invece, l’impresa è tutta azzurra: superando in finale il serbo Dusan Lajovic, Fabio Fognini si è aggiudicato il Masters 1000 di Montecarlo, e dicesi Masters 1000 i tornei più importanti del circuito del tennis mondiale dopo quelli del Grande Slam. Il tutto dopo aver battuto in semifinale un signore di nome Rafael Nadal, uno che nel Principato si trova come nel giardino di casa sua avendo vinto il trofeo qualcosa come 11 volte, andando vicino addirittura a chiudere un set per 6-0, quello che in gergo viene chiamato ‘bagel’.
Proprio su Fognini ci fermiamo, e non solo perché il tennista ligure è un noto tifoso nerazzurro; Fognini, a 31 anni, è riuscito nella sua impresa più grande, che gli vale anche la posizione più alta mai raggiunta nella classifica ATP. Tutto questo dopo anni di diverse occasioni mancate, che spesso e volentieri lo hanno posto sotto il fuoco di fila delle critiche a tratti feroci e fuori luogo, e non solo relative a qualche atteggiamento sopra le righe in campo. Ma quando Fogna ha sentito che il momento giusto è arrivato, ha messo da parte il ‘braccino’ e sfoderato prestazioni di altissimo livello, infliggendo una lezione anche a colui che domina la scena del tennis mondiale da ormai 15 anni. Può sembrare un po’ ardito il paragone, ma l’Inter sabato si trova di fronte un po’ il Nadal del calcio italiano (anche se al momento si trova al ranking 2 ma ahinoi, un Novak Djokovic è lontano dal vedersi all’orizzonte) in quella che potrebbe essere definita come una sorta di semifinale di questo mini-torneo per la Champions. E allora, perché non pensare di prendere ispirazione per mettere da parte limiti e timori e chiudere con carattere e grinta questo discorso, per poi proiettarsi con più tranquillità al finale di campionato e alla prossima stagione?
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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