Ogni tifoso pensa che l'amore per la squadra del cuore sia diverso da tutti gli altri, ed è giusto così. Ognuno ha la sua storia, il suo dna, i suoi riti, il suo modo di rapportarsi al club che ha scelto da bambino. I tifosi dell'Inter possono però rivendicare una cosa difficilmente riscontrabile in altre realtà, ossia quella di trovarsi a soffrire e gioire o viceversa, nel giro di pochi minuti. Nulla è mai scontato, la pazza Inter è sempre pronta a regalare emozioni o delusioni cocenti.
Due esempi riguardo Lazio-Inter. È stata maggiore la gioia per l'assegnazione del rigore che ha permesso alla squadra di pareggiare la gara a tredici minuti dalla fine o la paura che Icardi fallisse il penalty, gettando cosi all'aria la grande occasione di poter poi vincere la partita? Per il sottoscritto, la seconda sensazione. Secondo esempio. Era maggiore la gioia per il gol di Vecino che voleva dire vittoria e Champions League o la paura che, mancando ancora nove minuti più recupero, la Lazio, seppur in inferiorità numerica, riuscisse a pareggiare vanificando così tutto quanto? Per il sottoscritto, la seconda sensazione. E proprio per questo, al fischio finale del signor Rocchi, la gioia di tutti gli interisti presenti all'Olimpico e piazzati davanti alla Tv, è stata debordante, quasi come quella di Madrid, dove la Champions League l'avevi addirittura conquistata.
Domenica sera si è festeggiato un quarto posto, obiettivo minimo a inizio stagione, come se si fosse alzato al cielo un trofeo, ma nessun interista si deve vergognare per questo. La gioia sfrenata è figlia del raggiungimento di un obiettivo importante in condizioni difficilissime. L'Inter, bastonata dal Sassuolo, ma tenuta in vita dal suo Walter Zenga, ha dovuto giocare una vera e propria finale in casa dell'avversario che aveva lo stesso obiettivo, ma con due risultati a favore e uno stadio in amore, seppur con quindicimila nerazzurri al seguito. La squadra ha sbandato più volte al cospetto del gioco, della freschezza, della velocità dei giocatori della Lazio. I pugni biancocelesti hanno costretto più volte la Beneamata alle corde, ma il colpo del ko non è fortunatamente arrivato e nel finale la storia, il blasone, la forza della maglia, hanno avuto il loro peso.
Onore alla Lazio che ha disputato una splendida stagione e che può recriminare per qualche decisione arbitrale che l'ha obiettivamente penalizzata, ma nella notte delle verità l'Inter è tornata finalmente “la grande” che si va a prendere quanto desiderato. In rimonta. Non accadeva da troppo tempo, anche per questo il popolo nerazzurro ha esultato come se domenica sera, all'Olimpico, si fosse conquistato un titolo. L'attesa e la speranza mentre Marcelo Brozovic si apprestava a battere il calcio d'angolo, il colpo di testa di Vecino, la rete che si gonfia, il boato liberatorio dei quindicimila al seguito, la corsa sfrenata delle maglie nerazzurre verso i tifosi in festa. Immagini di interismo vincente che non ci stancheremo mai di rivedere.
Da “Inter is coming” a “Inter is here”. Non solo slogan quelli coniati dalla proprietà cinese, ma passaggi ideati, voluti e realizzati. Nanchino è lontana novemila chilometri da Milano, ma la presenza costante del ventisettenne Steven Zhang, figlio di Zhang Jindong, patron di Suning, ha fatto da collante tra il pianeta Inter e un altro pianeta, ricco, misterioso, a volte imperscrutabile come quello cinese. Suning ha acquistato l'Inter, ha potenziato il club, ha operato senza squilli di tromba sul mercato frenata dagli input governativi e dal Financial Fair Play, ma ha allestito comunque una squadra in grado di tornare tra le grandi d'Europa. Finora le promesse sono state mantenute e le lacrime di gioia di Steven Zhang al fischio finale di Lazio-Inter confermano che il ghiaccio si scioglie se viene scaldato dal calore della passione trasmessa dalla gente.
Il condottiero dell'Inter che torna dopo sei anni in Champions League si chiama Luciano Spalletti, 59 anni, toscano di Certaldo. Dopo il Triplete firmato Josè Mourinho, solo il bistrattato Rafa Benitez era riuscito a vincere con l'Inter, ricordiamo la Supercoppa italiana e il prestigioso Mondiale per club. Poi, dopo la Coppa Italia con Leonardo, solo fallimenti, anche se non ritengo tale il quarto posto di Roberto Mancini al termine della stagione 2015-16. Spalletti è un grande allenatore. Carattere difficile, eloquio a volte complicato, ma conosce il calcio e i calciatori. Si pone subito l'obiettivo da raggiungere, studia il materiale a disposizione e lavora tantissimo per centrarlo. Crea empatia con l'ambiente, domenica sera ha preferito rimanere in silenzio perché la voce voleva mantenerla per festeggiare con i tifosi a gara ampiamente conclusa. Spalletti a breve rinnoverà il contratto che lo lega all'Inter, firmerà fino al 2021. Finalmente la giusta continuità in panchina dopo i continui cambiamenti che generavano solo confusione e zero progetti.
Dovrebbe rinnovare anche Maurito Icardi, il capitano, il capocannoniere in coabitazione con Immobile grazie ai ventinove gol realizzati in trentaquattro partite disputate. Nessun attaccante nerazzurro aveva segnato così tanto dalla stagione 1958-59. Voleva portare l'Inter in Champions, ci è riuscito. Il suo desiderio, dice, è giocarla con questa maglia, la Champions. Ma tra il dire e il fare, c'è di mezzo la pecunia. Wanda Nara, moglie e manager di Maurito, chiede il rinnovo del contratto con adeguato ritocco all'ingaggio. Altrimenti prospetta la partenza verso altri lidi in grado di pagare i centodieci milioni di clausola rescissoria. Staremo a vedere. Da interista, dico: “Icardi a vita”. Da interista dico: “C'e solo l'Inter”.
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