È il giorno di Marotta e il futuro dice Udinese. Ma un passo indietro, per capire gli errori del passato (recentissimo) e non ripeterli nell’immediato, mi sembra d’obbligo. Sul nuovo dirigente nerazzurro dico solo di non avere preconcetti. Dovrà essere valutato per il suo lavoro col Biscione e non stigmatizzato fin da subito per il pluriennale impegno con la Juventus. Il curriculum è a suo favore, ma anche in questo caso conta solo quello che sarà e non quello che è stato. Adesso però cambiamo argomento.
Da quando ho iniziato a scrivere gli editoriali non ho mai criticato più di tanto l’Inter. A conti fatti i risultati erano in linea con le aspettative. E con le mie idee. C’erano attenuanti delle quali tener conto per onestà intellettuale. E soprattutto avvertivo la sensazione di un percorso di crescita ben saldo nella testa di tutti. Società, allenatore e giocatori. Ecco, dopo Inter-Psv ho smarrito le mie certezze. E a questo giro non sarò per niente morbido. Tutt’altro. Parliamo di un’eliminazione sacrosanta. Zero alibi. E aggiungerei pure una figura da cioccolatai in mondo visione.
Il motivo? L’atteggiamento e la mentalità dimostrata contro gli olandesi. Da perdenti. Attenzione: tu puoi anche uscire sconfitto (o in questo caso pareggiare) contro chiunque. E quando sono stati estratti i gironi il terzo posto sembrava la logica conseguenza delle rose dei competitor. Ma dopo aver vinto le prime due gare, con il Tottenham che alla terza partita inciampa ad Eindhoven, hai tutto apparecchiato per il passaggio del turno. In pratica se sei una grande squadra è fatta. Peccato che l’Inter in Europa non lo sia. Impaurita e quasi da: “Chi l’ha visto” a Barcellona, stecca anche la trasferta di Londra, dove lo snodo fondamentale era segnare (con un 2-3 a Wembley per gli Spurs, oggi la Beneamata sarebbe tra le prime 16 di Champions) e si suicida nell’ultimo turno del girone. Fosse stata una partita maledetta, con il portiere avversario migliore in campo e qualche errore a sfavore per colpa dell’arbitro ci si sarebbe magari giustamente attaccati agli episodi. Invece si deve solo tacere. Fare mea culpa. Anziché pensare a un possibile biscotto del Barça, l’Inter sarebbe dovuta scendere sul verde pronta a sbranarsi i propri avversari. Con la garra e la voglia di evitare fin da subito scherzi amari. A parole nel post partita poi sono bravi tutti. Ma era martedì sera nel rettangolo di gioco che lo si doveva dimostrare. E invece nada.
Non ci si può attaccare a nulla - solo al tram mi verrebbe da dire - perché sostanzialmente il Psv non ha rubato nulla e soprattutto, evidenza che ha fatto (giustamente) impazzire la stragrande maggioranza degli interisti, dopo l’1-1 di Icardi, invece che provare a vincere la partita, si è voluto gestire il pareggio. Ma stiamo scherzando? Tutti a San Siro si aspettavano il gol del Tottenham. Questo a dire il vero significa poco perché, punteggio a parte, il pubblico non poteva per ovvi motivi conoscere l’andamento, a livello di azioni e mole di gioco, del match del Camp Nou. Ma neanche Spalletti o i giocatori nerazzurri. E allora perché comportarsi da piccola squadra che spera nell’aiuto degli altri? Perché non provare a sfruttare lo slancio emotivo della rete del Capitano e cercare, per evitare qualsivoglia rimorso, il raddoppio contro un avversario pronto a essere messo alle corde? In queste situazioni il Dio del calcio ti punisce. Sempre. E così è stato. E gli Spurs, che a conti fatti non meritavano più dell’Inter il passaggio del turno, sono stati premiati. Loro dopo l’1-1 di Moura sono andati a prendere subito la palla dalla porta per riportarla a centrocampo. I nerazzurri con l’identico punteggio hanno festeggiato, perdendo tempo, come se si trattasse della rete partita.
Credo che Spalletti abbia dei colpi geniali e sia uno dei migliori allenatori d’Italia. Ma, e spiace dirlo, contro il Psv, ha sbagliato, condizionando il comportamento dei suoi giocatori. Io a Politano avrei chiesto di stringere i denti. O quantomeno non avrei mai inserito Vrsaljko. Non perché il laterale croato sia scarso, quanto perché il messaggio trasmesso ai calciatori è stato il più deleterio possibile: “Rischiamo di perdere. Dovremmo vincere. Ma accontentiamoci”. Eh no, non ci sto. Ci voleva maggiore coraggio e più carattere. Da parte di tutti. Contro il Psv e in ogni gara, Frosinone a parte, delle ultime sette partite disputate. C’è stata un’involuzione preoccupante. Nei risultati, ma soprattutto nel modo in cui si è affrontato certi avversari. Come si perde (pareggia e vince) conta. Non serve a niente preoccuparsi degli altri se non credi, o meglio, non dimostri di credere, in te stesso. Per questo il mister di Certaldo, promosso a pieni voti sino alla gara con l’Atalanta, si merita un’insufficienza piena nell’ultimo e citato periodo. E con lui praticamente tutti i giocatori dell’Inter.
Adesso sotto con un esame di coscienza. E pedalare. Zitti verso un comune obiettivo. È giusto che chiunque, nessuno escluso, si senta sotto osservazione. E che abbia tempo sino a fine maggio per meritarsi la conferma all’Inter. Serve un terzo posto in campionato in carrozza, una Coppa Italia giocata per vincere e una Europa League da protagonisti. Altrimenti grazie e arrivederci. Il credito è finito. Tutti possono sbagliare. Io, tu che leggi l’editoriale, Spalletti, i giocatori. Persino le mamme e le nonne. L’importante è capire dai propri sbagli, farne tesoro e non continuare a procrastinarli. Diversamente, a quella qualificazione buttata, si potrebbe aggiungere un’intera stagione, condizionata dai se e dai ma. Dal vorrei ma non posso. Da un immotivato pensiero di superiorità in certi ambiti, a un comportamento diametralmente opposto, di paura e panico, in scenari più prestigiosi.
Per quello che mi riguarda mi aspetto una veemente reazione. Con una serie di risultati importanti. Posso anche ipotizzare che sia così, ma ad oggi quel che credo io vale meno di zero. Il riscontro del mio pensiero ci sarà più in là. Così non fosse, altro che cestino. Si rischierebbe di buttare tutto nel cesso.
Autore: Simone Togna / Twitter: @SimoneTogna
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