Quando Raffaella Carrà cantava "Tanti auguri" era il 1978, anno in cui l’Inter soffriva di una pareggite tanto determinante da non permetterle di andare oltre il quarto posto nel piazzamento finale, malgrado le sole sei sconfitte stagionali, di cui solo quattro in campionato e una nella Coppa delle Coppe che bastò ad interromperne il percorso ai quarti di finale. Ma quel che fu di quell’Inter di Bersellini poco importa ad oggi, se non fosse che oggi - seppur, per fortuna, meno di allora - l’Inter soffre ancora di pareggite, male sofferto pure lo scorso anno e che nel lungo periodo ha penalizzato più di quanto si potesse sperare. Non perde molto la squadra di Antonio Conte, che nel suo cammino però dissemina punti per i campi d’Italia, racimolando tante ics quante bastano per togliere gas ad una corsa che oggi conterebbe un primo posto in classifica e un titolo di campioni d’inverno, e basterebbe contare quello di sabato a Udine.
È vero che in una stagione capitino partite come quelle della Dacia Arena, in cui crei tanto - perché è tanto ciò che l’Inter ha creato - senza riuscire a portare a casa il risultato. Altrettanto vero è che sono proprio partite come quella di Udine che frantumano il tanto valido "bisogna tener conto dei punti che fanno le altre". Il Milan di Stefano Pioli ha avuto finora il merito di una stagione sopra le righe che ha lasciato alle avversarie poco margine d’immaginazione e di errore e quando a cadere in errore è proprio il Milan, l’Inter si è mostrata affettuosa più di quanto dovrebbe, stendendo il tappeto rosso del lasciapassare. "Prego, faccia pure". È successo lo scorso 6 gennaio a Genova, mentre la sera si sarebbe poi realizzata la disfatta dei rossoneri per mano della Juventus, è successo sabato a Udine mentre a Milano l’Atalanta più che stendere un tappeto rosso, ha steso i rosso(neri) a tappeto.
Cinismo e cattiveria che alla squadra di Conte vengono a mancare proprio quando meno dovrebbe, malgrado il banco di prova della scorsa settimana con la Juventus superato a pieni voti che aveva fatto ben sperare su una quadra definitiva che non avrebbe più fatto preoccupare. Al contrario, eccoci qui a commentare una partita in cui molto è andato male, fuorché la fase difensiva. All’Udinese è stato concesso poco o nulla senza mai lasciar temere pericolo alcuno, ma esattamente come contro lo Shakhtar, sia all’andata che al ritorno, a stritolare i nerazzurri è stata proprio quella libertà di creare e tenere in mano la partita che ha prosciugato la squadra, incapace di mantenere la lucidità fino in fondo, soprattutto in fondo, dove a sbarrare le vie dell’Inter sono stati Musso e l’Inter stessa.
Ancora una volta a mancare è stato Lautaro, che quest’anno ha più le parvenze di un vitellino che di un Toro: troppo timido a volte, troppo furioso e poco preciso altre. Il dieci interista ha peccato ancora più volte malgrado un gol annullato per offside, di poco, ma pur sempre in offside. Ma se è vero che gli errori di Lautaro risultano più in evidenza e il compagno di reparto ha dato troppo poco rispetto al solito, le sbavature più grandi sono state commesse da Beep Beep Hakimi. Il marocchino, il più propositivo degli undici in campo - non a caso quasi tutte le occasioni create partivano dalla destra e dai suoi piedi - ha mancato di lucidità nelle scelte e freddezza sotto porta. Si perde il tempo e spreca l’occasione di calciare - e di segnare - ad un passo da Musso e fa un cross troppo fuori misura che non permette a Lukaku - da posizione favorevolissima - di impattare un pallone che sarebbe stato letale a dir poco. Così come a conferma del fatto che si ha ragione a dire che Conte non può certo essere reo di colpe in ogni caso. Eppure torna prepotentemente alla mente la gara con lo Shakhtar, con il Parma o con l’Atalanta, quando ad una trama dell’avversario cucita ad hoc per imbottigliare l’Inter, sottraendo lei gli spazi e vie di passaggio, i nerazzurri difficilmente hanno trovato la via d’uscita. Ma non è questo il caso, non a Udine, dove le occasioni create sono state più di una e dove, agli sprechi va aggiunto un signor portiere che in quel di Appiano Gentile sarebbe ben accetto. Non è un caso che in Viale della Liberazione il profilo dell’estremo difensore argentino è balzato più volte all’attenzione, esattamente come quello di De Paul, che nel centrocampo di Gotti ha detto la sua, con l’Inter come in ogni uscita.
A prendersi di diritto gli applausi nel pomeriggio di sabato è, oltre a De Paul e Musso, l’allenatore dei friulani che, come qualche giorno prima contro l’Atalanta, ha preparato una strategia impeccabilmente stringente e limitativa che ha avuto la resa di un carro armato in difensiva, rivelatosi insormontabile. Perché tant’è: l’avversario spesso e volentieri dice la sua e talvolta la parola dell’altra squadra echeggia più forte della propria, specie se la propria viene pronunciata in maniera troppo fievole per risuonare.
E se lo scorso sabato a far l’amore son soltanto quelli da Trieste in giù - e Udine, si sa, è poco più a nord - avrà avuto ragione la Carrà: di questa Inter recidivante nel suo folle e ondivago rendimento, tanto vale prender atto "che l'amore va a braccetto con la follia. Ma per una che è già matta tutto questo che vuoi che sia, tante volte l'incoscienza è la strada della virtù". Nella speranza che i "tanti auguri" siano un auspicio ad invertire la masochista tendenza alla pareggite, perché a dispetto di quanto diceva serena la Carrà, a lasciare sono soltanto i punti e in questo caso no, altri più belli, difficilmente se ne trovano.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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