Antonio Conte è stato scelto, tra i diversi e validi motivi, principalmente per cambiare la testa, la mentalità e la cultura del lavoro in un ambiente che, storicamente, proprio di uomini di ferro ha avuto bisogno per scrivere le migliori pagine della propria storia. E nella prima risposta del Conte interista, durante la conferenza stampa di presentazione del nuovo allenatore, ci sono subito le due parole-chiave che indicano un punto di rottura e di non ritorno rispetto al recente passato: limiti e alibi. Non porsi i primi per non creare i secondi.
Le parole valgono quel che valgono e le dichiarazioni d'intenti fatte in estate rischiano di risuonare come banali, scontate, ovvie. Difficilmente potrebbero essere diverse, in genere. Spesso finiscono anche per assomigliarsi molto. Ci aveva pensato però già Marotta il giorno prima a dichiarare qualcosa di insolito, qualcosa che rendesse l'idea di quanto il corso appena iniziato volesse avere un'impronta diversa. Quella frase, "Icardi e Nainggolan non fanno parte del progetto", esce dal confine della notizia di mercato per diventare monito di un'idea, di un'ambizione, di un messaggio indirizzato a giocatori e tifosi dalla società nel suo insieme. Quel concetto rafforzato da Conte nel suo ripetere quasi ossessivamente "il noi e non l'io" come punto di partenza e come costante per poter costruire davvero qualcosa di differente.
Conte ha detto di essersi allineato alla società nella decisione di non puntare sull'ex capitano e sul Ninja, confermando così quella visione comune col club che, ha detto, lo ha portato a scegliere subito l'Inter in maniera "facile". Perché, hanno spiegato e ribadito sia lui sia Marotta, contano i campioni ma soprattutto gli uomini. Conta quanto la maglia sarà sudata, conta la disponibilità dei giocatori, conta che la gente che la domenica fa sacrifici per andare "al campo" sia contenta dell'atteggiamento che vede, "al di là del risultato". Insomma, vincere non è l'unica cosa che conta.
Ma, e qui è la novità, non è nemmeno una cosa da rimandare o per cui chiedere tempo. Conte ripete che chi ha tempo non aspetti tempo e soprattutto afferma di aver bisogno dell'1% di possibilità di poter vincere. Il che significa, sempre parole sue, che ci sarà il 99% di possibilità di non vincere ma che proprio su quell'1% lui deve sapere di poter lavorare. La fine di ogni alibi. Proprio gli alibi sono sempre stati il male peggiore dell'Inter degli ultimi anni. Giocatori che puntualmente venivano sollevati dalle responsabilità quando non riuscivano a fare e far fare il salto di qualità, obiettivi regolarmente ridimensionati o rivisti e tensione abbassata non dovrebbbero più aleggiare dalle parti dello spogliatoio interista.
L'Inter di Spalletti difettava principalmente in questo: perdeva a Torino e si diceva che comunque si era tenuto testa alla squadra più forte; usciva dalla Champions e si diceva che, considerando il girone, nessuno si sarebbe aspettato di giocarsi la qualificazione fino all'ultima giornata; usciva dalla Coppa Italia e si diceva che non era un obiettivo; usciva dall'Europa League e si diceva che viste le assenze era impossibile fare di più; sperperava punti di vantaggio in campionato e si diceva che comunque l'importante era centrare la Champions. Cosa fatta e ci mancherebbe: Spalletti per due anni ha portato a casa ciò che gli era stato chiesto. Ma la sua Inter ha sempre dato l'impressione di accontentarsi, di non voler osare, rischiare, cercare di diventare grande.
L'Inter di Conte è un rischiatutto. Perché già solo la scelta dell'allenatore significa voler puntare sul più bravo a sfruttare il materiale (anche non eccelso) che ha a disposizione, come fece con la sua prima Juve e con la Nazionale, per raggiungere obiettivi veri. Significa non volere e non cercare alibi, significa cambiare mentalità e pensare a correre e lavorare più che a fare proclami. L'Inter con Conte si mette in gioco, decide di partecipare, seriamente, alla partita. Non significa che l'Inter di Conte vincerà di sicuro ma piuttosto che si è decisa a provare a fare un passo in avanti. Rischiando anche con scelte drastiche e dolorose. Cercando di non porsi limiti per evitare di creare alibi. Se cadrà farà certamente molto rumore ma, per lo meno, avrà cercato di risollevarsi dal terreno piatto della mediocrità. Ed è questo il rischio calcolato di chi punta in alto.
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