La sconfitta contro la Fiorentina, la terza interna in sei gare disputate al Meazza con Roberto Mancini in panchina, fa male alla classifica. Il gol dell'ottimo Salah rischia di compromettere definitivamente la possibilità della Beneamata di volare in Europa grazie al responso del campionato. La sconfitta del Napoli a Torino aumenta i rimpianti, se qualcuno avesse pensato ancora ad una clamorosa rimonta per il terzo posto, ma ora anche una posizione utile per l'Europa League appare molto lontana.
Detto questo, guai a mollare in campionato pensando solo alla doppia sfida con il Wolfsburg. Una mancanza di motivazioni nei week-end si ripercuoterebbe negativamente anche al giovedì, con il rischio di abbandonare prematuramente ogni sogno di gloria. Si vada dunque domenica sera a Napoli come se fosse la partita più importante, sia per vendicare la beffa in Coppa Italia, sia per cercare di tornare a vincere al San Paolo dopo 18 anni di digiuno, sia per migliorare la classifica, ma soprattutto per confermare quel processo di crescita sul piano del gioco e della costruzione di squadra che, a tratti, si è visto anche contro la Viola. La mentalità nostrana, purtroppo, esalta e brucia tutto in un attimo a seconda del risultato. La lettura dello stesso e quindi l'analisi della prestazione passa in secondo piano. Che i tifosi nerazzurri facciano uno sforzo per pensare diversamente, rendendosi conto che dopo i fasti del Triplete e le annate senza campo né coda con tecnici o da usa e getta o modesti o senza progettualità, finalmente ora si inizia a costruire dalle fondamenta con un allenatore che non ha paura di proporre e di accellerare, anche a rischio di uscire qualche volta fuori strada.
A mio avviso Mancini ha sbagliato in un paio di occasioni la formazione iniziale. Ricordo l'esclusione di Medel in Inter-Lazio con conseguente stravolgimento degli equilibri a centrocampo e doppio vantaggio biancoceleste dopo il primo tempo. E poi domenica con la Fiorentina non ha avuto senso rinunciare dal primo minuto a Shaqiri per insistere con l'ombra di Podolski e le paturnie mentali di Mateo Kovacic che se non si sente il primo attore sulla scena, perde la parola e brancola nel buio invece di rispondere con l'indubbio talento di cui dispone. È possibile che anche Roberto Mancini appartenga a quella schiera di allenatori che a volte sembra vadano inconsciamente contro la logica per mantere il proprio ego al centro del dibattito, comunque sia l'esito delle scelte. E ve lo dice un manciniano della prima ora.
Ma il valore aggiunto apportato finora dal tecnico di Jesi è indubbio. Mancini ha lavorato in Inghilterra dove ti lasciano spazio per costruire qualcosa che rimarrà nel tempo, acquisendo una forma mentis che non prevede la drammatizzazione degli eventi, bensì la conoscenza degli errori per non ripeterli e migliorare. Possibilmente senza ansia, ma con gioia, perché giocare a calcio e allenare a livello professionistico è una fortuna, non un peso. Difficile è coniugare la didattica con l'esigenza di ottenere subito anche i risultati. Domenica sera al Meazza si è vista chiara la differenza tra una Fiorentina che lavora con Montella da tre anni e un'Inter che segue Mancini da tre mesi. Eppure, anche se i viola che hanno finito in nove non hanno rubato nulla, il pareggio sarebbe stata la moneta più giusta viste le occasioni create nel finale di gara.
Insomma, adesso l'Inter ci prova, ci crede, gioca a petto in fuori, anche se il concetto di squadra, quello che ti permette di governare gli episodi e non esserne vittime, non è ancora chiaro e nitido al gruppo. Probabilmente l'Inter avrebbe avuto tre punti in più se Icardi avesse passato il pallone ad Osvaldo nel finale di gara contro la Juventus a Torino e Palacio, anche se con meno colpe di Maurito, avesse fatto la stessa cosa con lui domenica sera nei pressi di Neto. La ricerca a tutti i costi della gloria personale non si sposa con il concetto di squadra. Dimenticando, poi, che se vince la squadra, anche il singolo ha i suoi vantaggi, in termini sportivi ed economici.
Tante le cose da costruire, quindi, ma bisogna pensare in positivo perchè al timone c'è chi ama costruire, conscio però di guidare una blasonata come l'Inter e non un'entità astratta. Una progettualità importante sembra aver acquisito finalmente anche la società. Il possibile rinnovo di contratto per Mauro Icardi fino al 2019 è una grande vittoria. Il direttore Piero Ausilio lo blinda allontanando le ipotesi di cessione, anche se arrivassero tanti milioni che in epoca di Financial Fair Play fanno gola. Ma alla viglia di Inter-Fiorentina, Mancini è stato chiaro spiegando come sia difficile aumentare la competitività della squadra privandosi di un attaccante da 20 gol e che, aggiungo io, da un paio di gare sta mostrando grandi progressi anche sul piano della partecipazione alla manovra. Sì, fa male quel gol di Salah, ma cerchiamo di non limitarci a leggere il tabellino delle partite. Leggiamole per intero, allenamenti settimanali compresi. Questa Inter ha un futuro e fino a qualche mese fa non sembrava affatto.
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