“Per fortuna è arrivata la sosta”. Quanti, nel mondo Inter, hanno pensato questa insolita frase dopo la pesante debacle di Udine? Molti, se non tutti. C’è da scommetterci. Perché a questo giro la fastidiosa pausa per gli impegni delle nazionali - tra la discutibile Nations League e le rischiose amichevoli - sembra quasi essere arrivata in aiuto alla squadra di Simone Inzaghi, in questa prima parte di stagione apparsa come una lontana parente dalla bella creatura plasmata nell’immediato dopo-Conte e capace di vincere una Supercoppa Italiana e una Coppa Italia (seppur con un doloroso scudetto scucito dal petto all’ultima giornata), divertendo e mettendo in mostra con un bel calcio. Anche se con innegabile - e fatale - discontinuità.

Quest’anno lo spartito è lo stesso, ma la musica sembra essere inspiegabilmente cambiata. Gli interpreti sono praticamente identici a quelli della passata stagione, con l’aggiunta di un Lukaku in più e di seconde linee che possono (almeno sulla carta) dare ossigeno quando serve a quei titolatissimi che vanno ritrovati in tutto e per tutto: le voci di mercato sembrano aver toccato qualcosa nella testa di Skirniar, ad esempio, anche se tra i più deludenti di questi primi mesi di lavoro ci sono sicuramente i vari Handanovic, De Vrij e Bastoni, seguiti a ruota da tutto il resto della banda. C’è chi si sente sempre messo in discussione, chi fatica a trovare spazio anche se lo vorrebbe e chi sembra quasi avere la pancia piena dopo due o tre trofei vinti. No, all’Inter non funziona così. In un club come questo non ci si può accontentare del passato: si deve sudare la maglia nel presente per guardare con ottimismo al futuro. Un obiettivo, quest’ultimo, che sembra ora quasi un miraggio viste le quattro sconfitte già messe sul groppone tra campionato e Champions, le sudate vittorie last minute (vedi Lecce e Torino) e quelle più comode e larghe arrivate solo contro avversari di livello inferiore (con tutto il rispetto per Spezia, Cremonese e Viktoria Plzen).

Ad infastidire più dei risultati e di tutti i numeri e le statistiche del caso (l’Inter ora ha 5 punti in meno della passata stagione, proprio come il Milan) è l’atteggiamento. La mentalità smarrita, la squadra molle e che appare rinunciataria alla prima difficoltà. Che corre male e che è in costante confusione. Dov’è finita la rabbia dopo uno scudetto perso in quel modo? Dov’è la voglia di vincere la seconda stella? Dov’è la fame? Ognuno si prenda le sue responsabilità: da Inzaghi ed i suoi scientifici e chirurgici cambi no sense legati ad un cartellino giallo fino a chi scende in campo senza la minima garra per fare una corsa in più utile ad aiutare il compagno (ma, attenzione, con la ‘sbracciata di protesta’ sempre pronta). Senza dimenticare ovviamente la proprietà, palesemente non più in grado da un paio d’anni a questa parte di continuare portare avanti una società con questa storia per come davvero meriterebbero i suoi tifosi.

Ad ottobre serve una sterzata, un cambio di rotta immediato, una scossa. Perché, per come sono andate le cose finora, la classifica, al momento, rappresenta paradossalmente l’ultimo dei problemi da risolvere: lo sa bene chi vive lo spogliatoio di Appiano ogni giorno. È tempo di ‘staccare’ un po’ la spina, in modo che ognuno possa guardarsi allo specchio e farsi un obbligatorio esame di coscienza: la proprietà, la dirigenza, i calciatori, l’allenatore. Tutta l'Inter è responsabile, la colpa è di tutti. La sosta arriva al momento giusto (si spera) per mettere a posto le idee e ripartire.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 21 settembre 2022 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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