Se c'è qualcosa di superficiale, banale e sbagliato è un giudizio capovolto dopo 90 minuti. Ma anche dopo 180. Quelli dell'Inter contro Barcellona e Juventus, ad esempio. E siccome la squadra di Conte è l'esatto opposto del superficiale, del banale e dello sbagliato, l'esame delle sue ultime due partite non può prescindere da un punto fermo e cioè che è stata semplicemente battuta da squadre che sono più forti. L'Inter ha dominato il Barcellona per 45 minuti e sfidato alla pari la Juve per 30.
Poi sono successe alcune cose, ampiamente analizzate e dibattute ma la semplice, cruda ed elementare verità è che, alla lunga, se hai dalla tua parte Messi, Suarez, Cristiano Ronaldo, Dybala e Higuain le probabilità che tu finisca per vincere una partita sono esponenzialmente superiori tanto da poter diventare una legge non solo del buonsenso ma quasi della natura. I campioni cambiano il corso delle partite e delle stagioni. Ai campioni bastano 5 minuti per metterti all'angolo. Ma guai a fermarsi a questa sentenza. Sarebbe superficiale. E ingiusto.
L'Inter aveva messo sotto il Barcellona usando le sue armi: quelle del palleggio, della costruzione dell'azione partendo dal portiere, dei tanti tocchi rapidi, dei continui movimenti e scambi di posizione dei centrocampisti, dell'arretramento degli attaccanti che la palla la venivano a prendere in mezzo al campo, dell'aggressione e della ricerca dell'anticipo per trasformare in un secondo un'azione da difensiva a offensiva. Il Barcellona l'ha rimessa in piedi usando un'arma inconsueta: Vidal, uno che certo non ha i piedi di Xavi o Iniesta, tanto per dire, ma che marca, corre, si sbatte, porta ordine, chiude lo spazio all'avversario e lo cerca per i suoi compagni. Si aggiunga uno scatto di gran classe di Messi e due gol-capolavoro di Suarez e il piatto è servito. La frittata è fatta ma trattasi di frittata gourmet. Il Barcellona ha insomma atteso che passasse la tempesta, che l'Inter legittimamente calasse il suo rendimento per poi colpire in maniera chirurgica. La legge dei più forti. Prego riprovare in futuro, grazie.
L'Inter ha poi provato a guardare in faccia la Juve e a sfidarla senza calcoli, strategie o tattiche particolari: giochiamo, chi è il più forte lo dimostri. E così è stato. Solo che il gioco è durato mezz'ora. Mezz'ora fatta di quelle cose che si erano viste al Camp Nou ma eseguite con un po' meno rapidità, qualità, ed efficacia. Poi è uscito Sensi, è entrato un sarrismo bello e prepotente, si è fatta sentire la stanchezza di chi per stare in partita deve sempre dare l'anima; uno si è affidato a un Vecino poco utile e l'altro a un Emre Can che ha riportato in asse la mancanza di equilibrio data, a un certo punto, dal tridente (che infatti a Sarri piace poco, per ora) CR7-Dybala-Higuain. Sarri ha avuto il tempo di fare una mossa, sbagliarla e trovare rimedio legittimando la vittoria con un secondo tempo superiore nel gioco oltre che nelle occasioni. La legge dei più forti. Prego riprovare in futuro, grazie.
Ma sfidare i marziani non capita tutte le settimane, per fortuna. E allora è qui che Conte dovrà far rivedere l'Inter delle prime sei giornate: quella che è stata sempre in vantaggio, che ha sempre affrontato le partite per vincerle e averne il controllo (ciò che, coraggiosamente e orgogliosamente, ha voluto provare a fare anche con Barcellona e Juve accettandone le possibili conseguenze). Finito il primo ciclo di fuoco, dopo la sosta se ne aprirà un altro con la doppia sifda al Dortmund decisiva per rimanere in corsa in Champions e, in campionato, una serie di gare con Sassuolo, Parma, Brescia, Bologna e Verona utili per immagazzinare punti, certezza, fiducia e soluzioni alternative a quell'11 titolare che per forza di cosa deve trovare, nel corso della stagione, aiuti, compensazioni e sostegno.
Partite mai facili e neanche scontate ma necessarie per riprendere il discorso e per riprendere il percorso. Per portare avanti il progetto di un'Inter giovane e spregiudicata che non fa calcoli e non ha paura di cadere e farsi male. Un'Inter dove le qualità dei singoli vengono esaltate dal lavoro collettivo, un'Inter dove i centrocampisti segnano di più e si vede in ogni azione la partecipazione e lo sforzo del gruppo. Un'Inter che aspetta di potersi appoggiare, nel momento del bisogno, sulle spalle solide e navigate di Godin non meno che su quelle possenti di Lukaku.
(A proposito: criticato per i gol - 3, tanti quanti ne hanno fatti Ronaldo e Insigne - il belga ha comunque segnato più di Icardi che un anno fa, dopo sette giornate e in tempi non sospetti in cui nemmeno il più fantasioso autore di romanzi avrebbe immaginato ciò che sarebbe poi accaduto tra fascia, ginocchio, social eccetera eccetera, era fermo a una sola marcatura. Senza voler fare poi il conteggio delle esultanze in Nazionale perché lì si va incontro a un ingeneroso 51 a 1 in favore di Lukaku. E dire che Icardi è inattaccabile sui numeri, sempre messi in mostra, e sui gol. Come? Con l'Argentina ha giocato pochissime partite? Ah. Ma allora i problemi extra campo non li ha avuti solo all'Inter).
Ma detto questo, Lukaku ha bisogno di proseguire la sua integrazione in una squadra che deve girare e correre all'unisono per essere efficace e andare oltre certi suoi limiti. Perché poi fatto questo esprime un calcio bellissimo e piacevole che deve ora saper diventare anche più cinico e concreto. Conte è il più bravo di tutti a fare questo. Merita quel rinforzo a centrocampo che serve come il pane. Merita fiducia e giudizi (non capovolti) che non siano parziali e superficiali. E non limitati a due sconfitte contro avversari più forti. In attesa di crescere, rinforzarsi e riprovare a ripresentarsi per riprovarci. Scalando i grattacieli.
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Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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