"Inaccettabili, offensive e non corrispondenti alla realtà": così l'Inter ha risposto prontamente a Reinaldo Rueda, c.t. del Cile, che aveva accusato il club nerazzurro di non rispettare la sua nazionale, di curare male Alexis Sanchez e di tenere un comportamento con mentalità da "impero coloniale". Un'uscita inaccettabile, come ha giustamente rimarcato il club nerazzurro. Posizione rafforzata dalle parole di Rudi Völler, attuale diesse del Bayer Leverkusen: "Quello che fanno i cileni è molto fastidioso – ha detto l'ex attaccante della Roma –. I giocatori si stancano, la cosa va avanti da molto tempo. Non tengono conto dei club. Anche quando i giocatori non stanno bene, devono andare a giocare. Ti senti preso in giro". Due a zero e palla al centro. E non a caso ieri Rueda ha fatto un passo indietro, evidentemente rendendosi conto di aver straparlato. Stasera, a Caracas contro il Venezuela, vedremo l'uso che ne farà. E se sarà ancora avventato oppure oculato.
Al di là delle raccomandazioni disattese dell'Inter, delle parole inqualificabili di Rueda e di un calendario anacronistico visto il momento, il punto cruciale resta uno: il calciatore. Perché Conte e Marotta possono instaurare qualsiasi tipo di dialogo con le varie federazioni e i commissari tecnici possono avere idee più o meno aderenti alla linea dei club, ma poi la discriminante principale rimane il pensiero del giocatore. Sta a lui, e solo a lui, prendere la decisione finale sul come e quanto gestirsi. Se da un lato c'è Kolarov che ha preso una posizione netta a salvaguardia della sua salute, non scendendo in campo in un match molto importante per la sua Serbia come lo spareggio con la Scozia per Euro 2020, dall'altra c'è chi come Sanchez fa prevalere sempre e comunque la voglia di offrire un proprio contributo. I 6 minuti più recupero che Rueda gli ha concesso contro il Perù, nonostante il 2-0 rassicurante e tutto il pregresso alle spalle, sanno tanto di provocazione. Parliamoci chiaro: Sanchez è un professionista esemplare, maniacale nella cura della forma fisica. E di certo non è un calciatore decrepito, dato che a dicembre compirà 32 anni e non 40. Legittima la sua aspirazione di giocare con la maglia della Roja e di puntare al suo terzo Mondiale, ci mancherebbe altro. Alexis è un generoso, uno che non si risparmia mai: anche questa è la sua forza. E non è assolutamente questione di rapporti lavorativi: il "eh ma ti paga il club" non esiste come tesi. Le nazionali sono sacre, hanno fatto la storia del calcio e, si spera, continueranno a farla. Solo grande ammirazione per chi continua a tenerci tanto.
Sanchez non è il primo e non sarà l'ultimo giocatore a voler dare tutto sé stesso per la propria nazionale. Un sentimento di orgoglio e allo stesso tempo di gratitudine. Bellissimo se paragonato a chi invece lo avverte come un peso, in un mondo che perde ogni giorno un pezzo di passione e di appartenenza ai reali valori dello sport. Ma poi c'è la questione fisica. Ed è evidente che oggi Sanchez stia chiedendo troppo al proprio fisico. Questo è il vero nodo. Non c'entra Conte, non c'entra Rueda, non c'entra niente e nessuno: c'entra solo lui e il suo fisico. Sanchez era arrivato a Milano un anno e mezzo fa in condizioni non ottimali e poi, nel momento migliore, si era dovuto fermare per il grave infortunio patito in quell'amichevole disgraziata contro la Colombia. Dopo mesi era tornato a disposizione, facendo capire chiaramente quanto fosse mancato il suo apporto in stagione. Apprezzabile la sua voglia di restare a Milano, agevolando la trattativa con il Manchester United con rinunce personali sotto il profilo economico. Ora nessuno gli chiede di scegliere tra l'Inter e il Cile, perché sarebbe come chiedergli di scegliere tra mamma e papà. Però che sia responsabile e che si gestisca con maggior intelligenza, perché non avrà 40 anni ma neanche 20. Rispetti la sua sana voglia di difendere i colori della Roja, però cerchi di non compromettere gli impegni con l'Inter. Un club che merita il massimo del rispetto.
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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