Il calciomercato ci ha rotto le scatole. Qualcuno dovrà pure dirlo ed è pure arrivato il momento di farlo. Francesismo permettendo, e in caso contrario, beh, lo diciamo lo stesso… Tre mesi di calciomercato, due sulla carta, persino più di tre all’atto pratico. Tutto molto bello, se tutto fosse così come lo sogniamo. Ma quel fantastico momento dell’anno in cui tutti hanno diritto di dire tutto è fatto di bilanci, conti da far quadrare, paletti Uefa da soddisfare, allenatori da accontentare e tifosi da non deludere. Un mondo lontano da chi ‘guarda’, talvolta quasi incomprensibile, ma altresì lontano dalla modalità carriera di Fifa e quel tutto che vale tutto resta in realtà nient’altro che un'accozzaglia di caratteri validi solo a piogge di like, retweet e qualche follower in più. In altre parole fuffa da social di facile caduta nel dimenticatoio che un 'è fatta' finale cancella fino al nome successivo, quando la corsa a chi la spara più grossa ricomincia. Una giostra che non smette mai di girare e che, buona parte delle volte, finisce quasi sempre a fermarsi nel punto più alto, peccato che, a differenza di una ruota panoramica qualunque, il panorama da queste parti non sembra dei migliori e nel momento di stallo della giostra, il paesaggio di sotto è di un plumbeo triste che getta i più pessimisti nello sconforto.
Niente di più verosimile e dopo l'entusiasmo delle prime settimane, durante le quali tutto sembrava incoronare la Beneamata come la regina del mercato, la ruota dell'Inter ha girato, iniziato a rallentare e poi smesso di girare. Ferma proprio nel punto più alto, dal quale, visto lo stallo, tutto attorno appare plumbeo e lento, quasi angosciante. Inevitabile guardare allo stato di moto delle altre con sguardo a tratti allarmato. Niente di nuovo, niente che già in passato non sia stato narrato, in circostanze differenti, con personaggi differenti ma con uno scenario di fondo che è ormai il leit motiv del post-pandemia. E allora diciamocelo, la paura di un allestimento della rosa rattoppato, traducibile con la paura di non poter competere ad alti livelli è comprensibilmente lecita specie al netto del secondo posto successivo al ritorno sul tetto d’Italia. Non concorrere per lo scudetto sarebbe un downgrade inaccettabile che va obbligatamente scongiurato. Due entità opposte ma facenti parte dello stesso problema. La tenebrosa e spaventosa ombra del fantomatico +60 e il contemporaneo obbligo a restare competitivi, il tutto nel bel mezzo di una sosta nel punto più alto del giro di giostra. Niente di adrenalinico né di entusiasmante, noioso e a tratti spaventoso per via della incapacità di capir qualcosa. Chiamiamolo limbo, chiamiamola stanchezza, di sicuro voglia di capire cosa accadrà dopo nella consapevolezza di brancolare nel vuoto. Che si fa? Nulla.
Ci si attacca, come ultima speranza di chi afferra la fune dell’ultima scialuppa, alla brutta prestazione di Milan Skriniar di stasera contro il Villarreal come incentivo di preghiera al passo indietro del Psg, deciso a prendersi lo slovacco senza però affondare il colpo, altro stallo che fa tremare i cuori nerazzurri: secondo i colleghi francesi, la dirigenza dei parigini non intende mollare il 37 interista, fosse l’ultima cosa da fare in questa sessione di mercato. E proprio questo è il mostro che più spaventa i nerazzurri: un guizzo last minute dei francesi che manda in visibilio Zhang senior e in tilt la dirigenza, potenzialmente costretta a cedere ma impossibilitata a sopperire. Un Lukaku al Chelsea 2.0 con conseguenze devastanti, due volte l’addio del belga dello scorso agosto. Scenario che spaventa ulteriormente dopo le sirene fiorentine che prevedono un rinnovo di Milenkovic con il club gigliato.
Niente Dybala, niente Bremer, niente Milenkovic e via Skriniar? Ad oggi no, domani chissà. Al netto di sentimentalismi ma anche dati di fatto la teoria del plumbeo panorama che si prospetta attorno non è neppure così facilmente inconfutabile ma a tendere la mano della dirigenza ci sono i precedenti. Gentili al cospetto di Marotta e Ausilio spulciandone i curricula con la partnership del tempo: se da un lato l’incombenza dell’inizio del campionato funge da macigno non indifferente, le tre settimane piene di tempo per agire fungono da salvifico contraltare. La storia insegna e lo stallo presto finirà, con buona rassegnazione però degli impazienti. Eppure al cambiare della prospettiva, ahinoi non varia di certo il punto: all’alba della sesta (effettiva) settimana di mercato, nessuno ne può più ed è il caso di dirlo. Il calciomercato ci ha rotto le scatole.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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