Uno scorpione vuole attraversare un laghetto e chiede alla rana se gli dà un passaggio fino all’altra sponda. La rana è titubante, gli scorpioni pungono e sono letali. Lo scorpione la rassicura, le dice che vuole solo attraversare il laghetto e promette che non la pungerà. La rana decide così di fidarsi e lo fa salire sulla schiena. A metà del tragitto, nel bel mezzo del laghetto, lo scorpione punge la rana. Questa, allibita, con un ultimo respiro gli chiede: “Perché lo hai fatto? Ora moriremo entrambi!”. E lo scorpione risponde: “Non so perché l’ho fatto, è nella mia natura”.
Questa famosa metafora spiega il vero motivo perché sono entusiasta della crescita dell’Inter ma riesco ancora a temerla. La realtà delle cose, il presente di oggi a poche ore da Verona-Inter, ci racconta una storia diversa e interpretabile come la naturale conseguenza del lavoro di Spalletti, in presenza di un organico che in questi anni era nettamente al di sotto del suo standard. C’è tanta verità in questa lettura ed è altrettanto vero che una squadra al suo interno ha logiche che sfuggono alla semplice stesura di una squadra, al modulo che adotta e ai cambi che vengono fatti in corso di partita. L’Inter ha un carico di referenza da non disperdere in alcun modo, acquisito soprattutto dopo il derby, consolidato definitivamente con la gara al San Paolo contro il Napoli e consacrato con la Sampdoria. Il gioco è diventato bello, fluido, logico, i movimenti sono diventati armonici, la rapidità è aumentata e quella sicurezza nell’uscire dal pressing del Napoli con passaggi a terra, è diventato anche pulizia nei passaggi e coraggio nelle giocate e nei tiri dalla distanza, in casa con la Sampdoria.
Verrà il giorno in cui Spalletti verrà accusato di aver sbagliato formazione, sostituzioni e persino di essere sopravvalutato. È accaduto a Mourinho, accadrà anche a lui ma sarebbe più interessante comprendere che tipo di lavoro sia stato svolto nelle menti dei giocatori. Vale la pena ricordare che il nuovo tecnico, fin dal primo giorno, ha incoraggiato la mentalità della squadra, preteso di vincere le amichevoli, considerandole attestati di stima di cui la squadra aveva terribilmente bisogno. Ha caricato l’ambiente corredando alcune battute con ammirazione verso il pubblico dell’Inter e una passione che lo ha sorpreso, ha blandito ogni singolo giocatore esaltandone doti che persino il tifoso più positivo non riusciva a intravedere, adulando persino un giocatore come Nagatomo, già ad agosto e rivelando una stima che sembrava di pura necessità. Ha scelto una squadra, ribadito un modulo e fatto pochissime variazioni, che tra l’altro la rosa non gli potrebbe nemmeno permettere. Ha costruito insomma le basi di una fiducia tra tutte le componenti, intuendo che l’Inter è una macchina da governare politicamente e simultaneamente in campo. Ha cercato e trovato l’appoggio del pubblico e ha avuto ragione praticamente su tutto.
Mi sento a disagio comunque quando leggo di un'Inter da scudetto, non tanto perché non sia bello essere lusingati da tutti, tifosi avversari compresi, quanto perché so quanto sia pericoloso cadere da un’altezza eccessiva. Guardo l’Inter con ammirazione, martedì in particolare ero a bordo campo e ho avuto modo di seguire con attenzione l’atteggiamento di Spalletti e vedere da un’altra prospettiva l’atteggiamento della squadra, positiva e sicura come una grande, quale dovrebbe essere sempre. Inizio a rilassarmi di più con questa squadra ma non a fidarmi completamente. Temo sempre un rilassamento, una forma di appagamento dopo elogi sperticati, che le facciano credere di essere più forte di quello che è. Confido dunque in Spalletti che parla bene dentro e fuori dagli spogliatoi, pur con tutte le sue note spigolature, che riesca a far capire ai giocatori che questa Inter, così apprezzata sia in un trappolone, suo malgrado.
Il campionato infatti propone un’inedita lotta a cinque per la Champions, a logica di forze con Napoli e Juve in orbita scudetto, Inter, Roma e Lazio a giocarsi il terzo e quarto posto. L’Inter scende in campo al Bentegodi infatti partendo da un improvviso quarto posto, solo per essere l’ultima a scendere in campo, perché le prime cinque vincono sempre, non perdono praticamente più punti e c’è il rischio che dietro al miele si nasconda la beffa. Alcuni giocatori devono andare contro la loro stessa natura, impedendosi di rallentare, di imborghesirsi. Paradossalmente questa stagione ci sta dicendo che sono le trasferte apparentemente semplici che l’Inter sa gestire con meno autorità.
La trasferta di Verona non è molto diversa da quella di Crotone e Benevento, risolte nel finale ma sofferte ben oltre il lecito. Quell’Inter stava nascendo, questa appare più risolta ma la natura di un gruppo arrivato settimo con mezzi da prime quattro, è una bestia oscura su cui la società e il tecnico devono vegliare. La mentalità da grande squadra ha iniziato a mostrarsi ma, come dimostrano gli ultimi 20 minuti con la Samp, non si è certo ancora insediata. Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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