Quanto vale un giocatore? È il centro del dibattito con radici più profonde e valutazioni più variegate. Mi sono chiesto come mai tra i grandi club italiani l’Inter sia la squadra che ha da sempre il maggior numero di giocatori dal talento non riconosciuto. 
Non importa se si tratta di fenomeni o no. La società punta invariabilmente su giocatori inventivi senza mai creargli il contesto e delegando all’allenatore di turno il compito di farlo eventualmente rendere. Si sa che all'Inter da anni ci sono tavole rotonde permanenti che discutono sulle qualità di ogni singolo giocatore, con un modello di valutazione maledettamente fallibile che viene applicato con implacabile regolarità. 

Giovedì sera ho rivisto Quaresma nei panni del giustiziere del Napoli. Si è bevuto la difesa e ha fatto un gol spettacolare. E mi ha riportato alla mente il suo sciagurato periodo all'Inter. Non era Garrincha ma era un nazionale, titolare stabile nel Porto, aveva giocato nel Barcellona dopo essere esploso nello Sporting. Dal momento in cui ha messo piede a Milano il portoghese si è perso. In questi anni non si è più ritrovato fino a quando non è tornato a casa. Questo significa che le qualità le aveva, per i tifosi resterà sempre “il trivela” ma la testa del giocatore non era valutabile dalla società. Dicevo che l'Inter nella sua storia si è imbattuta, più di altre, in giocatori temperamentali, con grandi mezzi ma non facilmente coinvolgibili in un progetto.
E se sei una società che ama questo genere di giocatori, ne intravedi il talento e lo porti in casa hai il dovere di capire come farli rendere al meglio. 

Pensateci. Corso è stato forse il primo vero modello di giocatore con un valore superiore a tutti ma atipico nei movimenti, ancorchè inquadrato in una corazzata invincibile come era l'Inter di Herrera. Poi dagli anni '80 arrivò Altobelli, un attaccante eclettico, assolutamente anomalo per quelle movenze dinoccolate e un estro che tirava fuori con snervante irregolarità. Beccalossi, che divideva i tifosi per quei lunghi passaggi a vuoto e delle giocate magnifiche. Scifo, il belga di origini italiane che riusciva ad essere esaltato e distrutto nel corso della stessa partita da tifosi che diventavano schizofrenici. Sentivo gente che nella stessa partita gli gridava di tutto e poi lo applaudiva a scena aperta. Matteoli, arrivato in un'Inter trapattoniana ma mai abbastanza apprezzato. Recoba, che ritengo uno dei piedi più talentuosi della storia dell'Inter, capace di fare cose straordinarie come di sparire dal campo per diversi minuti. Il suo caso è emblematico. Non ha quasi mai trovato allenatori capaci di credere in lui, e nell'anno che poteva consacrarlo, con Cuper, in quella stagione in cui era maturo e decisivo, arrivarono strane partite e quel misterioso 5 maggio che affossò anche il buono che c'era. Lui compreso. Pirlo rimase nell'orbita Inter per ben tre anni, con una felice parentesi alla Reggina. Eppure quasi nessuno riusciva a capire l'enorme talento di questo giocatore. Per lui è stato speso il solito repertorio utilizzato dai detrattori di professione. Gli stessi che si sono messi in moto entusiasticamente per far cacciare Seedorf, colpevole di incostanza.

L'Inter ha sempre scelto giocatori con grande classe ma la testa di questi artisti non la puoi controllare se non hai una struttura e un ambiente adatti. Dalmat aveva una classe incredibile ma il giocatore e la persona erano totalmente fuori controllo, Shalimov aveva dei numeri e anche lui era incostante. E quando erano amati dal pubblico non lo erano dagli allenatori. Come nel caso di Roberto Baggio, costretto a convivere con Lippi. L'unico che ha messo d'accordo tutti è stato Balotelli. Mi fa sorridere amaramente come questo genere di giocatori venga incasellato alla voce “incompresi”. Io direi che per la maggior parte di loro si dovrebbe dire “colpevolmente incompresi”. Di certo la memoria è biodegradabile, forse per questo si sta ancora insistendo con lo stesso modello di gestione. Avere giocatori di classe senza sapere che farsene. 
Oggi, come ho già scritto, si assiste con disinvoltura alla cessione di Coutinho, si procede alle battutine su Alvarez, ai luoghi comuni su Kovacic. E non si sa che posizione avere verso Guarin. 

Quando parlo di creare un contesto intendo dire che una società, se prende un certo tipo di fantasista, non lo può inserire a forza senza aver previsto in accordo con il tecnico lo scenario tattico. Sono abbastanza certo che se la società si fosse trovata Xavi e Iniesta a 20 anni, l’Italia tutta si sarebbe pronunciata contro il loro impiego contemporaneo. La maggioranza avrebbe parlato di dualismo improponibile che avrebbe dovuto portare allo schieramento di uno a favore dell’altro e alla naturale cessione di uno dei due a fine stagione. È la dura legge dei vecchi tromboni, degli anacronistici soloni che si ergono a tribuni del calcio e soffiano sempre contro. Si tratta soprattutto di mentalità. Una brutta bestia che condiziona le menti di un calcio che, nonostante l’evidenza, le eliminazioni di quasi tutte le squadre dalle coppe, gli scandali, gli stadi vuoti e il tormentone del campionato di basso livello, continua a dire indifferentemente di avere i migliori arbitri, di essere maestra di tattica, di avere i migliori allenatori, i migliori giovani eccetera.

Siamo invece un calcio barocco fatto di convinzioni da aggiornare, incapace di riconoscere la qualità e ammuffita da troppo tempo. Non siamo più in grado di guardare una partita di calcio con occhi da veri appassionati,  la nazionale interessa poco, le coppe solo se gioca la propria squadra, al lunedì si parla solo di rigori e polemiche e mai del gioco o di un bel gol. Si ragiona per slogan, battute cattive e si liquida anche il talento potenziale mortificandolo con ogni mezzo. Così, per cinismo. 
Per quanto riguarda l’Inter non resta che confidare in Thohir e nei suoi nuovi progetti. Nei prossimi tre anni capiremo se la storia si ripeterà ancora e ancora...

Sezione: Editoriale / Data: Sab 22 marzo 2014 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo
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