Insomma, questa settimana è stata costellata di interviste, elucubrazioni mentali, storie di tifo vissuto… di tanti “io c’ero quella volta lì”…; perché, cosa volete, sarà pure dimesso, sarà pure sottotono, sarà pure ridotto ai minimi termini, ma sempre derby è. O, meglio, Inter-Milan è IL derby. Per antonomasia. Forse, e dico forse senza mettermi a cercare statistiche e quant’altro, solo Boca-River si avvicina alla stracittadina milanese. Per storia, per tradizione, per “tituli” esposti in bacheca. L’atmosfera che circonda questa sfida è unica, inspiegabile, inarrivabile. Piaccia o meno sono due squadre che hanno fatto la storia del calcio mondiale. E poco importa la situazione attuale di classifica; poco importa il misero punticino che separa l’una dall’altra; poco importa se vincere servirà ad arrivare ottavi piuttosto che noni.
Inter-Milan non è un problema di supremazia meramente territoriale, è qualcosa che va oltre: è uno scontro tra titani, una battaglia per il blasone, una sfida tra due mondi diversi, tra due modi differenti di fare e di pensare calcio. Più riflessivo quello dei cugini, più arrembante, sanguigno, caotico il nostro; siamo, da sempre, una squadra che vive di passione e non di ragione. Di folate e non di tocchettini laterali. Forse è anche per questo che qualche allenatore qui ci ha lasciato le penne in un passato più o meno recente; non si può trasformare una tifoseria abituata a vivere di emozioni forti in un consesso di esteti dell’appoggio del pallone, della razionalità applicata al calcio, del mantenere le posizioni in campo qualunque cosa succeda.
Niente da fare, non siamo e non saremo mai così. Con buona pace dei puristi o di quanti pensano al calcio come a una scienza perfetta.
Esistono delle regole per chi scende in campo a giocarsi la stracittadina. Non si tratta di regole scritte, sia chiaro. Ma morali. Il tifoso nerazzurro potrà perdonarti tutto, tanto è l’amore che nutre per i propri colori. Ma non ti perdonerà mai un derby sottotono. Ecco perché, nel mio piccolo, desidero trasmettere qualche consiglio ai nostri eroi pedatori. Non per altro, non per manie di protagonismo o chissà che. Molto più semplicemente io di derby ne ho vissuti, parlo da quando la ragione ed i ricordi mi aiutano, una ottantina; tutto compreso, coppe, amichevoli e campionati. Sicuramente più di tutta la rosa nerazzurra attuale messa insieme. Qualche volta dalla tribuna, qualche volta da quelli che un tempo erano i “distinti”, oggi primo arancio, verde o blu, molto più spesso dalla curva, fintanto che il fiato per cantare mi ha supportato. Non sono tante, queste regole. E nemmeno complicate.
Zanetti a parte, ma cosa vogliamo dire del Capitano, più che da Buenos Aires ho sempre pensato venisse da Vega, non esiste uscire dal terreno di gioco pettinati. Qualche volta è capitato in questa stagione, ahimè, di vedere qualcuno bello impomatato al novantesimo ai microfoni della tv di turno. Non – si – fa. Contro il Milan non – si – fa. In campo si suda, si suda per antonomasia e non solo; infatti io nelle sfide tra amici me ne sto bello rilassato in porta, e non è un caso. Quando l’avversario riesce per una qualsiasi ragione a saltarti, lo si rincorre. Non si sta giocando a un due tre stella e sarebbe gradito non vedere sul terreno di gioco delle belle statuine. Nei miei flash back adolescenziali ho ben stampata nella mente una corsa a perdifiato tra Rivera e Mazzola. Il primo avanzava verso la nostra porta, il secondo si impegnò in uno strenuo inseguimento. E riuscì a mettere la palla in fallo laterale, tra il delirio della folla. Piccola specifica; erano entrambi a fine carriera. In quella rincorsa, consiglio vivamente di andarla a vedere e rivedere sulla rete, c’è l’essenza di Inter-Milan.
Si finisce la partita senza fiato. Così senza fiato che, se per caso dovessero pensare di intervistarvi al minuto novanta più recupero, non riuscite a pronunciare nemmeno una parola. Un po’ come i maratoneti a fine gara. O i fondisti nello sci; provate a rivolgere loro una domanda, cercano inutilmente di mettere insieme quattro parole. Senza successo. E non perché non conoscono l’idioma indigeno. O la grammatica nelle sue forme più complesse; molto più semplicemente non ce la fanno.
La maglietta si consegna preferibilmente sudata. Ma proprio bagnata fradicia. Vi assicuro che non è importante e non da fastidio a nessuno se non profumate di violetta; e neanche se non è bello da vedere l’alone sotto l’ascella. Non è una serata di gala alla Scala, non è una cena d’affari, non è una sfilata di moda. È il derby di Milano, è necessario adattarsi alla bisogna. Tempo per la doccia e per essere cool ce n’è. Dopo però.
Mi piacerebbe evitare di sentire commenti poco interessanti. Del genere…io però preferisco giocare un pochino più avanti, io non mi trovo bene largo a destra e nemmeno a sinistra, io desidero stare nei due di centrocampo, io dietro le punte non rendo al meglio, io cinque metri più dietro riesco a far ripartire l’azione con più tranquillità… ecco se possibile, ed è possibile, evitare di scaricare le colpe sull’allenatore di turno. In campo non ci va lui, ci andate voi. E, giurin giuretta, non mi interessa niente se non vi trovate bene in quel posto o in quell’altro. Testa bassa e correre. Tranquilli, i tifosi non sono degli sprovveduti; sanno riconoscere perfettamente chi si sacrifica per il bene della comunità e dei compagni, per le esigenze tattiche che, in alcuni casi, vengono prima delle vostre.
Ci saranno persone al Meazza stasera che si sono sobbarcate chilometri e chilometri di trasferta per voi. Per supportarvi. Per aiutarvi. Per farvi sentire il loro amore incondizionato per i colori che avete la fortuna e l’onore di indossare. Ecco, poi vada come vada, ma verso questo popolo un obbligo, perlomeno morale, l’avete: al di là di tutto gettare davvero il cuore oltre l’ostacolo. Che in partite di questo genere non è una frase fatta. Cuore e passione. Non chiediamo poi tanto.
Buona domenica e buon derby a Voi.
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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