Il Milan (R) prova a scappare a Bologna. La Juventus prova ad accorciare a Genova. L'Inter risponde la sera contro il Benevento, un rotondo 4-0 in una situazione psicologica non certo agevole con l'obbligo di vincere e un pizzico di turn over ragionato. Antonio Conte si gode, dalla tribuna, una buona prestazione contro un avversario capace di far male se messo nelle condizioni. Invece i ragazzi di Pippo Inzaghi, schierati con baricentro piuttosto basso (come molte squadre che si snaturano al cospetto dell'Inter) costruiscono ben poco dalle parti di Handanovic, praticamente inoperoso, e agevolano l'impegno nerazzurro con un autogol di Improta in avvio che instrada la gara nei binari ideali. Torna al gol Lautaro, Lukaku firma addirittura una doppieta nell'ambito di una prestazione sottto tono, Eriksen non sfigura da playmaker, Barella è il solito motorino inesauribile, la difesa è solida e sicura e il punteggio finale è persino stretto ai padroni di casa, nonostante finalmente si sia intravisto il tanto agognato cinismo sotto porta. Tante buone notizie e tabella rispettata dunque, la testa può andare serenamente alla semifinale d'andata di Tim Cup, prima tappa di un percorso da brividi che prevede in successione la Fiorentina al Franchi, il return match di Torino, la Lazio al Meazza e il derby di ritorno. Bisogna caricare bene le pile, serviranno.
Spostandosi fuori dal campo, a due giorni dalla fine del mercato l'immobilismo ampiamente sbandierato dell'Inter è stato messo a dura prova dalla tentazione Edin Dzeko. Dal nulla, all'improvviso, giovedì dalla Capitale è arrivata una proposta che doveva essere presa in considerazione: scambio alla pari tra il bosniaco, vecchio pallino di Antonio Conte che voleva fondare sulla sua presenza in campo la sua Inter nell'estate 2019, e Alexis Sanchez, colui che arrivò, all'improvviso, per colmare il vuoto lasciato dal mancato arrivo dell'ex Wolfsburg e Manchester City. Le classiche sliding doors del mercato, affascinanti a prescindere. Se ne sono dette e scritte tante in merito, ma la verità è una sola e soltanto: l'agente di Dzeko, Lucci, dopo aver offerto il giocatore a 5-6 squadre in Europa, ha trovato solo nell'Inter una manifestazione di interesse e dalla Capitale è arrivata la proposta, con tanto di sbarco a Milano del diesse Pinto. Chiacchierata col management nerazzurro e diversità di opinioni sulla questione finanziaria: Inter fedele all'input societario, mercato da zero euro. E la differenza di ingaggio dovuta all'applicazione del Decreto Crescita sullo stipendio del cileno, a cui la Roma non ha voluto porre rimedio aggiungendo un conguaglio, ha messo il punto sulla vicenda e, non essendoci le condizioni economiche per proseguire, Ausilio e Marotta hanno interrotto il discorso. Il tutto, mentre intorno alla vicenda è stata montata ad arte una narrativa che ha indicato l'Inter come responsabile per non aver trovato una soluzione a uno scambio già ampiamente mal digerito nell'ambiente giallorosso, oppure che siano stati i capitolini a dire no allo scambio (per salvare la faccia). A un certo punto, la realtà è stata letteralmente revisionata da chi cercava di ricostruire le uova appena fatte cadere dal paniere. Risultato? Salvo svolte, Dzeko rimarrà a Trigoria ad allenarsi da solo, a 7,5 milioni a stagione, a meno che non venga esonerato l'allenatore Paulo Fonseca. E la Roma, che disperatamente stava cercando di liberarsi della patata bollente, dovrà cercare altre soluzioni che non siano l'Inter, 'rea' di non aver voluto contravvenire alle proprie posizioni, ampiamente note da tempo. Un po' come, rimasti con l'auto in panne, chiedere a un conoscente di reperire un meccanico e pretendere che ne paghi l'intervento. Siamo all'assurdo. E nessuno si azzardi a estrarre dal cilindro l'hashtag #InterBeffata.
Assurdo come la lunga coda del caso Ibrahimovic-Lukaku. Squalifiche legittime emesse, la questione probabilmente non finisce qui. Anzi, la Procura Federale, come auspicato dal presidente della Figc Gravina (che però ha fatto da pompiere sul ben più grave caso di Perugia, de gustibus...), analizzerà tutto il materiale a propria disposizione per capire quanto dolo sussista nelle espressioni verbali dei protagonisti. Checché in molti sostengano il contrario, non c'è razzismo nelle parole dello svedese. Piuttosto, per dirla in parole povere, tanta stupidità. Il delirio di onnipotenza che lo accompagna persino quando va al gabinetto lo ha indotto a provocare pesantemente e sul personale un avversario per innervosirlo, e se Lukaku, che ha un carattere tendente al Dalai Lama, ha reagito in modo poco edificante significa che l'operazione è andata a buon fine. La giustizia divina ha messo le cose a posto già sul rettangolo di gioco, ora toccherà a quella sportiva. Ma il razzismo è ben altro e non va cercato nel classico trash talking che per natura è antipatico e spesso violento. Ibrahimovic va disapprovato per antisportività, non per razzismo. E meriterebbe una squalifica superiore al turno dovuto all'espulsione, più che altro per essere stato la causa dell'inqualificabile scena vista in campo. E il fatto che abbia dovuto chiarire di non essere razzista, con il supporto dei fedelissimi Raiola e Pogba, tradisce il timore di averla fatta grossa senza rendersene conto, di aver oltrepassato quel limite imposto dal buon senso e dall'opinione pubblica, dove l'offesa personale assume i contorni di quella razzista e scatena l'ira degli interventisti puritani. Una bella sculacciata disciplinare sarebbe la giusta punizione per mettere un po' a cuccia un ego eccessivamente smisurato. E probabilmente Lukaku stesso sarebbe d'accordo.
PS - Maluccio Paolo Maldini, che trattando il tema Ibrahimovic ha scaricato la colpa addosso a Lukaku, che a suo dire avrebbe aggredito i giocatori del Milan e costretto lo svedese a intervenire per difenderli. Per fortuna ci sono le immagini e c'è abbondanza di audio, perché altrimenti qualcuno potrebbe persino dar credito a questa goffa arringa difensiva. Decisamente meglio quando indossava la 3 del Milan, Paolino, nel ruolo di difensore di campo. Perché certe dichiarazioni proprio non fanno onore alla sua storia.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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