Alla fine, il momento è arrivato: sabato sera, si è consumato allo stadio di San Siro il primo atto della nuova era Inter targata Beppe Marotta. Un battesimo che l’Inter ha bagnato con un successo importante, se non altro per evitare di essere ulteriormente ricacciati nel ciclone delle critiche, a tratti dai toni un po’ troppo da tragedia greca, successivi al boccone amaro da digerire dell’eliminazione in Champions League e della retrocessione in Europa League, dove il cammino inizierà contro il Rapid Vienna, formazione che oltre a non dover incutere, almeno sulla carta, eccessivi timori, rievoca dolci ricordi dei quali si è già parlato. Tornando al debutto di Marotta, salutare il suo avvento con un successo, peraltro arrivato meritatamente al di là del fatto che il gol vittoria sia arrivato grazie all’intervento del Var che ha ovviato ad una mancanza dell’arbitro Rosario Abisso (non un ‘aiutino’, quindi, ma un intervento per ristabilire la giustizia, ciò che il Var sarebbe chiamato nella sostanza a fare e che in tanti a volte dimenticano), serviva per la classifica e per il morale della truppa, chiamata a tenere la rotta sul consolidamento il piazzamento Champions per la prossima stagione.
Certo, il pensare a Marotta nelle vesti di nuovo amministratore delegato dell’Inter può ancora fare specie a più d’uno: proprio lui, che negli ultimi otto anni è stato uno dei capisaldi della Juventus di Andrea Agnelli vincitutto in Italia, il deus ex machina che ha creato la corazzata bianconera; soprattutto, colui che in più di una circostanza non si è tirato indietro quando si è trattato di scendere in campo nell’eterna diatriba bianconerazzurra. Dopo tutti questi precedenti, vederlo ora da questa parte del fiume può indubbiamente suscitare reazioni ancora un po’ scomposte in una parte della tifoseria. Così come può aver suscitato effetti strani quell’abbraccio, colto tempestivamente dalle telecamere, dopo il rigore di Mauro Icardi, con il presidente Steven Zhang e il vice president Javier Zanetti: un gesto per qualcuno inconsulto, anche se, più semplicemente, altro non sembra essere che il consolidamento di un patto, quello sancito per aprire definitivamente l’era del rilancio nerazzurro.
“Cerchiamo di ricucire il gap con la Juventus. Tocca a me cercare di rilanciare, se usiamo questo verbo, una squadra che nel recente passato non ha ottenuto risultati”. Questa la mission della quale si è autoaccreditato Marotta lunedì sera, nel corso della cerimonia di premiazione del Golden Boy 2018. Lì dove ha avuto modo di incontrare quelli che fino a qualche giorno fa sono stati i suoi scudieri in bianconero, il delfino Fabio Paratici e soprattutto Pavel Nedved. Proprio quel Pavel Nedved che solo fino a qualche ora prima aveva avuto parole non propriamente al miele nei confronti dello stesso Marotta. Soprattutto una frase ha fatto scalpore, quel ‘Forse non è mai stato juventino’ che detta così all’improvviso, nel ridotto spazio di un’intervista pre-partita, e lasciata così in sospeso, ha fatto indubbiamente rumore. E lunedì pomeriggio, il ceco ha rinforzato la sua tesi spiegando la sua visione fatta di dirigenti professionisti che vanno ovunque, e di uomini fedeli alla bandiera, che mai accetterebbero di accasarsi altrove.
Poi, i saluti, il faccia a faccia, anche il buffetto rifilato da Marotta allo stesso Nedved, e tutto rientra nei ranghi. Anche se, francamente, alla fine quello alzato dalle parole del Pallone d’Oro 2003, a voler stringere, sembra più il classico tanto rumore per nulla. Le parole del vicepresidente juventino, anzi, sembrano più un elogio della filosofia dell’ovvio: è pieno il mondo, del calcio ma non solo, di professionisti che una volta accettato un progetto si gettano in esso con il corpo e con l’anima, ma una volta che il feeling si esaurisce e si cambia rotta, è un attimo svestire i panni di prima e indossare quelli nuovi, cercando sempre di garantire il massimo della professionalità.
Tanta grazia, anzi, se nel calcio moderno si possono ancora celebrare figure come quella dello stesso Nedved, ma anche di Javier Zanetti, Paolo Maldini, Francesco Totti, gente che incarna alla perfezione i valori dei club dove sono cresciuti, per i quali hanno combattuto mille battaglie sul campo, e che hanno portato alla conquista di numerosi trofei nazionali e internazionali. Ci sono stati, ce ne sono purtroppo sempre meno, ma di certo in questa categoria non può rientrare uno come Marotta che del calcio è professionista a tutto tondo e di questo non gliene si può fare certo una colpa. Senza contare che magari, in qualche modo, con quelle parole, Nedved non abbia in qualche modo aiutato Marotta a farsi accettare ancora di più nelle vesti di manager calcistico prima ancora che di portabandiera della rivale per antonomasia.
Insomma, una piccola schermaglia messa in archivio quanto prima; adesso, per Marotta, si prospettano altri compiti importanti e altre trame da sciogliere quanto prima. Una su tutte: la questione del rinnovo di Mauro Icardi, diventata nuovamente un problema spinoso. Specie alla luce della nuova mossa della moglie-agente Wanda Nara. Che dopo il dribbling ubriacante col quale ha fatto abboccare più d’uno con quel messaggio su Twitter nel quale parlava di un rinnovo che, a quanto pare, altro non era se non quello con lo sponsor tecnico, è tornata, in maniera forse più ovvia di quanto non si immagini, a scoprire le sue carte sul tavolo di una trattativa già estenuante, parlando di un rinnovo ancora lontanissimo e di un Icardi che in estate era praticamente già venduto alla Juve, di una fantomatica coppia stellare con Cristiano Ronaldo, e di un Maurito che ha posto il gran rifiuto perché troppo legato al club nerazzurro che rappresenta per tutti la priorità.
Al di là di Piero Ausilio che ieri sera, in un fiume di dichiarazioni alquanto importanti e dalla vena combattiva, ha liquidato l'uscita della Nara con un termine alquanto consono all'atmosfera natalizia ("Cinepanettone") e dell’inevitabile confronto tra tifosi scatenatosi sui social, arena che, ha recentemente spiegato qualcuno chiaramente un po’ più esperto in materia di chi vi scrive, per certe caratteristiche intrinseche non può rappresentare una vera cartina di tornasole della situazione di una tifoseria e di riflesso di una società, il nuovo exploit della signora Icardi può tranquillamente ridursi ad una domanda: quanto ci si può dire sorpresi da questa nuova sortita? Ancora una volta, Wanda cerca logicamente di fare il suo gioco, da manager prima ancora che da consorte, usando in modo un po’ machiavellico tutte le armi a sua disposizione. Non ultima quella dell’aneddotica, vera o presunta tale, poggiata sulla figura del capitano legato indissolubilmente ai colori nerazzurri, una situazione che però potrebbe essere ribaltata dal management che facendosi forte di questo feeling potrebbe far valere le proprie condizioni, anche solo allo scopo di chiedere al rosarino una ‘prova d’amore’ definitiva.
Tutto rientra nel gioco delle parti, anche se questa volta, vista la reazione compatta della dirigenza nerazzurra, questa volta Wanda le sue carte pare averle giocate piuttosto male. Tutto alla fine risulta maledettamente figlio della filosofia del buon Jacques II de Chabannes de La Palice, meglio noto come Monsieur Lapalisse, l’uomo delle tautologie, delle cose talmente ovvie da generare quasi stupore quando si manifestano in tutta la loro ovvietà. Situazioni di vita calcistica vissuta come tante sicuramente ne ha vissute il buon Marotta in carriera; sta ora alla sua sapienza in materia, unita all'Ausilio di nome e soprattutto di fatto, gestire il tutto nella maniera migliore per tutti. Mettendosi magari in preallarme anche per preservare l'attuale tecnico da una probabile perturbazione che potrebbe provenire dall'Inghilterra...
VIDEO - AUSILIO AL VELENO: "WANDA? I CINEPANETTONI NON MI INTERESSANO"
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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