Pareggio in campo, vittoria per "tanto a poco" sugli spalti, considerando che si giocava fuori casa, ma solo per esigenze di calendario. Positivo, tutto sommato, il bilancio del derby anche se il punticino non sposta l'Inter dall'anonimato in classifica. È iniziato il lavoro del Mancini-bis con l'esordio nella partita più importante, domenica prossima altra cima Coppi da scalare all'Olimpico giallorosso, in mezzo (domani) un saliscendi insidioso, ma abbordabile, al Meazza conto il Dnipro in Europa League.
Digerita Milan-Inter, solo dopo le due prossime sfide saremo in grado di sbilanciarci se e quanto Roberto Mancini possa diventare l'uomo in più di una squadra composta dai buoni giocatori, un paio di potenziali campioni, ma anche da qualche mediocre che nella prima Inter del Mancio non avrebbe trovato posto nemmeno in panchina. Tant'è: è lo specchio dei tempi. Qualcosa però si può già dire riguardo la rivoluzione compiuta in poche ore da Erick Thohir e compagnia. Intanto con Mancini è tornato nell'ambiente nerazzurro un entusiasmo contagioso.
Alla Pinetina ora sono “smile” a ripetizione, c'è il sole anche se piove. Prima pioveva e il Verona pareggiava. La gente nerazzurra torna a far sventolare la bandiera. La Curva, peraltro unico settore che non inveiva contro Mazzarri, ha immediatamente srotolato un “Bentornato Mancio” che illuminava la “Nord” durante il derby. In campo è difesa a 4, contro il Milan la linea ha funzionato abbastanza bene, anche se la disabitudine al nuovo assetto è emersa in maniera crudele in occasione del gol di Menez. Che i difensori nerazzurri fossero posizionati male si era capito ancor prima del cross di El Shaarawy finito sul piattone del francese.
Di contro, specialmente nella porzione di gara fino al vantaggio rossonero, si è ammirata una circolazione della palla meno affannosa proprio a partire dalla retroguardia disposta secondo il credo manciniano. Conseguentemente anche i centrocampisti hanno iniziato ad andare negli spazi e l'Inter è sembrata finalmente una squadra propositiva. Non attendista, noiosa, impacciata. Ma dopo il gol di Menez soono raffiorati i difetti e le paure dell'Ancien Regime. E si sono rivisti lanci lunghi, staticità, imprecisione anche nei passaggi più semplici, fino al termine del primo tempo, chiuso con il Milan in vantaggio.
Ma se in un recente passato sarebbe stato automatico pensare alla sconfitta sicura, domenica scorsa sui volti degli interisti c'erano ancora i famosi “smile”, più o meno convinti. Perché in panchina c'era Roberto Mancini che non digrigna i denti, non violenta le bottigliette d'acqua, non trasmette ansia. Il condottiero rimaneva tranquillo, muoveva le braccia in modo elegante per indicare, correggere, ispirare. E si capiva che nell'intervallo avrebbe ricostruito moralmente e tatticamente la truppa.
Come tutti quelli bravi, Mancini ha anche sviluppato il fattore C. Chi ti va a segnare la rete del meritato pareggio che faceva esplodere con un boato degno del Maracanà la Curva nerazzurra? “Gioiellino” Obi, per dirla alla Scarpini. Obi era il colpevole numero uno del vantaggio milanista per aver perso malamente un pallone a metà campo. Di colpo entrava a far parte di quei particolari “eroi” nerazzurri che, pur non brillando per classe e spessore tecnico, hanno avuto il piacevole vizio di segnare gol decisivi al Milan. Obi come Minaudo, Massimo Paganin e Schelotto, tanto per dire.
Poi il derby si poteva vincere (occasione iniziale sprecata da Icardi e traversa scheggiata in girata nella ripresa dallo stesso Maurito) e si poteva perdere nel finale (traversa clamorosa di El Shaarawy solo davanti ad Handanovic e gollonzo sfiorato da Poli). Ma è finita come giusto finisse. Al triplice fischio del signor Guida il mio cellulare ha ricevuto il solito sms dal solito amico a commento del risultato maturato dalla Beneamata. Il testo recitava: “Si vede la mano del Mancio”. Mi è venuto istintivo ripondere: “Sì”.
A mente fredda la promozione del Mancini-bis non si basa tanto su quanto visto contro il Milan. Non avrebbe senso dopo solo cinque giorni di lavoro. Ma nel derby si è intuito di quanto possa accadere in breve tempo, con qualche allenamento, ma soprattutto con qualche partita in più sul groppone. Quest'Inter, con l'uomo di Jesi in panchina, potrà solo migliorare, a partire dal concetto di autostima, fondamentale quando le qualità tecniche non sono eccelse come nel primo governo Mancini. Ma se anche Obi, con tutto il rispetto per il giocatore, indovina il sinistro ammazza diavolo, vuol dire che alcuni concetti sono già entrati nella testa dei ragazzi.
In attesa dell'apertura del mercato di gennaio, in attesa di un bel regalo nonostante la persistente spending rewiew. Domani sera vedremo in campo la seconda Inter di Mancini, anche se lui, squalificato, non siederà in panchina. Nell'occasione compierà 50 anni. Con la faccia da eterno ragazzo e con un'Inter da rilanciare. Auguri e “Bentornato Mancio”.
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