È stato un pareggio casuale con il Torino? La spia di un presagio sinistro, come due anni fa quando l’Inter era in testa e venne sottovalutata la sconfitta con la Lazio? O è un rallentamento fisiologico nel cammino di una squadra che resta ancora imbattuta? Il finale è aperto ma c’è qualcosa che non mi trova d’accordo nell’accettazione passiva o fatalista degli eventi Finita se c’era mai stata, la parte di stagione del miraggio, inizia ufficialmente quella della realtà. 71500 interisti allo stadio, entusiasmo sottoscritto dalla sciarpata spettacolare e tante aspettative in una domenica a mezzogiorno, caratterizzata da una pioggia attesa più per spazzare via le polveri sottili che per celebrare il clima autunnale. Sempre più orgoglio nel vedere una partecipazione senza eguali in Italia, per una squadra che porta anche 50.000 spettatori, con un livello ai minimi termini e quando, come quest’anno, illude di poter fare qualcosa di buono registra un pubblico da derby.
L’Inter non ha perso ma ha rischiato, non ha vinto ma la traversa presa da Vecino ha dimostrato che la partita era stregata. Il pari non va bene, al contrario va malissimo in ottica di rincorsa al posto Champions ma è importante sapere che partite come questa le abbiamo già viste e spesso sono state perse. Di contro il pareggio salvaguarda l’imbattibilità ma mostra anche la vulnerabilità mentale di una squadra fragile di testa anche le scorse stagioni. Il Torino, come gli succede da quattro anni, a San Siro ha fatto la solita bella partita che ci si augura ripeta anche in futuro con altri avversari ma l’Inter, pur giocando con geometrie chiare ha fatto errori in ogni zona del campo, esattamente come le capitava la scorsa stagione e quella prima ancora. Errori di battitura tipici di un gruppo che in discesa è sempre andato molto bene ma al primo dosso ha sempre mostrato paure ancestrali. Paradossalmente può aver contribuito la vastità di uno stadio pieno, contro un avversario con cui era necessario fare la partita, perché un conto è giocare con un avversario diretto, un altro è affrontare una squadra ben organizzata e motivata, infarcita di ex come Obi, Ansaldi, Burdisso e Lijajic, più Mihailovic, che da quattro anni gioca sempre la stessa partita, l’Inter ci casca ed esce da San Siro quasi sempre indenne o vincitore.
L’Inter alla fine ha preso una traversa piena con Vecino, che se fosse entrata avrebbe dato una vittoria tutto sommato meritata, ma l’infinita serie di errori ripropone il tema del carattere, perché tutti i palloni sbagliati in fase di appoggio, nell’ultimo passaggio e in fase di realizzazione, sono frutto di un ansia da squadra afflitta da un opprimente senso di responsabilità che si fa sentire ogni anno, non appena le aspettative crescono e la pressione sale. Il pari in casa e in uno scontro non diretto, in un contesto di classifica dove le prime cinque non perdono mai punti, è una brutta notizia. Il Napoli ha effettivamente pareggiato col Chievo, la Juve ha faticato col Benevento ma l’Inter non ha le coppe e sentire Eder rilasciare un’intervista in cui sostiene che l’Inter si trova dove nessuno pensava, con l’aria compassata, fa temere che l’ambiente sta pericolosamente abbassando la soglia di attenzione a favore di un compiacimento per i risultati ottenuti.
L’Inter è la squadra che più di tutte, per blasone, riscatto sportivo, orgoglio e assenza di competizioni internazionali, dovrebbe affrontare ogni partita con rabbia e invece anche nei tifosi c’è un’aria soddisfatta, positiva anche oggi, perché se si pensa ad altri anni il materiale è buono ed è ben gestito da Spalletti, dunque si percepisce meno il pericolo. Se questo tipo di sensazione pervade anche i giocatori finisce che senza nemmeno accorgersene ci si ritrova al quinto posto e fuori dalla Champions. È una mera questione di mentalità e conoscenza dell’ambito, perché Lazio e Roma hanno una gara in meno e oggi, senza la sospensione di Lazio-Udinese, l’Inter da seconda (ora terza) si sarebbe probabilmente ritrovata quarta, mentre la Roma ha vinto a Firenze dopo una vittoria larga sul Chelsea ed è ormai ad un passo. Fa bene Spalletti a tenere positivo l’ambiente e a raccontare l’orgoglio per la prestazione della squadra ai giornalisti più perplessi. Il suo lavoro non è quello di dire tutta la verità, nient’altro che la verità ma di tenere saldo il gruppo e fare a spintoni con chi attacca la diligenza. La squadra dopo il vertice toccato con il Napoli e gli splendidi 70 minuti con la Samp, viene da una prestazione vincente ma incolore a Verona e questo pareggio anomalo.
Se l’Inter tornerà a lasciar posto ai dubbi e i tormenti del recente passato lo capiremo con l’Atalanta dopo la sosta. Un pessimo cliente che non sarà nemmeno lontano parente di quello che ne prese sette la scorsa stagione e farà una partita simile a quella del Torino di oggi. Se l’Inter avrà compreso la lezione di oggi si vedrà dal modo con cui affronterà i bergamaschi. Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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