Passione, morte e resurrezione... Questa rimandata. La via Crucis dell'Inter, iniziata a La Spezia e proseguita contro Juventus e Fiorentina, non finisce a Salerno e sebbene l’Arechi sembrava il posto perfetto per inscenare il terzo giorno del Golgota, l’uscita dal sepolcro nel quale la banda di Inzaghi sembra essersi rintanata non sembra affascinare affatto i nerazzurri che, con buona pace di chi sperava nel miracolo pasquale, si lasciano inchiodare dal tradizionale gol dell’ex e vedono serrare ulteriormente le vie di fuga dall’incubo del precipizio in classifica. Un precipizio che trova qualche leggero attutimento con il ko casalingo dell’Atalanta contro il Bologna che salva i vice-campioni d’Italia dalla zona Conference League. Ma solo temporaneamente. All’ormai ordinaria vittoria del Napoli seguono i successi di Roma e Lazio, risultati che trovano un leggero attimo di consolazione regalato amorevolmente dai cugini, reduci da un pari a reti bianche con l’Empoli in casa che nulla può per evitare il sorpasso ma evita quantomeno il +2. Certo... Niente di realmente lenitivo per i poveri cuori nerazzurri, sempre più logorati da una squadra che non gira e non vince più e che l'ultima gioia l'ha sottoscritta lo scorso 5 marzo, ultimo successo portato a casa e ultima volta in gol di Lautaro Martinez, grande assente dell'ultimo mese coerentemente con i compagni di reparto.
Negli ultimi trentatré giorni, eccezion fatta per i due rigori (contro Spezia e Juventus) insaccati da Lukaku, i ragazzi di Inzaghi hanno dovuto fare i conti anche con un assenteismo davanti che non trova grandi spiegazioni e che fa temere in vista di un finale di stagione dalle frequenze cardiache più irregolari del solito. Nel cupo e asfissiante sesto posto in classifica, tra l'opprimente -3 dell'Atalanta e la sfilza di +1, +2 e +7 di quelle sopra, oltre che dell'imbarazzante +23 del Napoli, a vacillare non soltanto più la panchina di Inzaghi ma anche tutto il resto. Senza troppi giri di parole e timore di, mano ai numeri, il fallimento stagionale sembra ad oggi uno scoglio difficile, se non impossibile, da evitare e l'unica scialuppa di salvataggio sembra essere il percorso in Europa, dove i meneghini hanno ancora tutte le loro carte da giocarsi contro un avversario che tutto è fuorché semplice da battere. Ma c'è ancora la Coppa Italia (direbbe qualcuno), se non fosse che, pur non volendo snobbare nulla, vincerla non rappresenterebbe affatto un upgrade rispetto alla scorsa stagione. Certamente portarla a casa sarebbe già qualcosa, ma nessuno parli di 'Trofeo' del quale riempirsi la bocca con tanto di fierezza se non si vuol cadere nel ridicolo.
Senza chissà quale equazione matematica, ad oggi la proiezione del risultato da notificare al 4 giugno è catastrofica e oltre al braccino da tennista che sembra aver colpito i 25 di Inzaghi (+1), la malattia più diffusa tra i tifosi del Biscione è la sindrome di Voldemort. Sindrome di che? Di Voldemort. Colui che non va mai nominato. E coerentemente con la paura del più temuto Lord di Hogwarts e dintorni, gli interisti sembrano usciti da un capitolo del romanzo di J. K. Rowling. Harry Potter e i prigionieri di Appiano Gentile, lì dove la regola numero uno è non nominare "tu sai cosa" piuttosto che "tu sai chi", laddove il tu sai cosa è facilmente traducibile in "non piazzarsi almeno quarto". La paura più grande dell'interista è mutata parecchio nel corso dei mesi che ne hanno costellato la stagione, passando dal 'temere di non vincere la seconda stella' al 'temere che la vinca il Milan' fino al 'temere di non entrare in Champions'. Ecco, l'ho detto sfidando i mangiamorte che probabilmente verranno a cogliermi nel sonno, eppure tant'è e senza giri di parole e tentativi di nascondini da struzzo, la mancata qualificazione alla massima competizione europea inizia ad essere una soggezione concreta più di quanto si potesse mai pronosticare. Una soggezione che inizia a diventare paura, se non terrore, e la soluzione è meno a portata di mano di quanto Piton abbia insegnato e al netto di bacchette che Inzaghi sembra non più riuscire a far funzionare, anche la strategia di restare intrappolati in un pertugio umido e insalubre che non dà luce la domenica non sembra utile. E difatti non è quello il 'piano' attuato da Inzaghi, niente ritiro e niente pugno duro: via al valzer di colombe, uova pasquali e sorrisoni in famiglia, lì dove da festeggiare c'è ben poco, prima della delicatissima trasferta di Lisbona dove il piacentino in primis si gioca una grande parte di futuro. D'altronde l'ha detto Inzaghi stesso nel post gara: "Ai ragazzi non c'è niente che posso rimproverare", salvo infinite occasioni create senza mai riuscire a concretizzare, infinite pallegol gettate al vento e un mese di incapacità di segnare che fa solo da punta di un iceberg grande una stagione e mezzo ma sommerso da effimeri piaceri che ne hanno intervallato e smorzato le sofferenze.
Se a Salerno la squadra di Inzaghi è riuscita a contraddirre persino le Scritture, chissà che non sia la volta buona per riscriverne di nuove con una versione tutta sua... E nella speranza che la Pasqua sia solo rimandata di qualche giorno, e che al terzo giorno (da oggi) si possa brindare ad una resurrezione, buona colomba a chi, dal tetro e triste scenario di un calvario senza fine, manca l'aria, ha perso le parole ma non la fede.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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