Peggio non avrebbe potuto andare. L’esito di Inter-Torino è talmente sconcertante da risultare quasi comico. Insomma la società in due mesi ha fatto quello che i tifosi chiedevano, si è mossa prepotentemente, ha cambiato allenatore, è cambiato il modulo, è stata ridisegnata la rosa, spingendosi apparentemente oltre i suoi limiti economici e ha preso giocatori di qualità. Così a gennaio sono arrivati due risultati confortanti contro la Juventus e il Genoa. Poi improvvisamente una partita drammaticamente brutta, una media con la Samp, in inferiorità tutta la partita e poi quella al rallentatore contro il Torino.
Mentre guardavo le consuete inquadrature impietose verso Thohir e Moratti, spiaggiati in poltrona dal gioco prevedibile, speravo solo che i due non si facessero condizionare da quello che vedevano in campo, considerando l’importanza del progetto economico a cui starebbero per dare corpo. Considerando che in questi ultimi anni desolanti siamo tutti diventati degli sconfittologi, esperti in disgrazie nerazzurre, con teorie sempre più estreme, provo a dare una valutazione che non ha l’intenzione di essere ottimista e tantomeno pessimista.
Penso che se la squadra che gioca col Torino ha una difesa devastata e dei giocatori che non hanno mai fatto una partita insieme, due esterni improvvisati (D’Ambrosio e Obi) gli automatismi vanno a farsi benedire. Se poi, nel corso della partita, ne perdi due in un solo colpo e per lo stesso motivo (ancora D’Ambrosio e Andreolli) sei costretto a far giocare un giocatore (Ranocchia) che non doveva essere rischiato, ti chiedi prima cosa ne sia stata della preparazione atletica che già da inizio stagione lasciava parecchi dubbi e poi capisci che gli avversari, con una difesa tanto conciata, possono cercare di vincerla. E così è stato.
Se poi a centrocampo gioca un Guarin che dà un senso alla fascia di capitano nel primo quarto d’ora e solo ogni tanto nei 90 minuti, un Kuzmanovic che gioca senza colpa, come sa giocare, cioè onestamente e nulla più, e poi deve anche andare in fascia quando entra Shaqiri, è chiaro che ogni senso tattico perde di credibilità. Ma il tasto dolente arriva da due giocatori: Kovacic e Palacio, che sono i veri oggetti smarriti dell’Inter. L’argentino non sembra più in grado di dare un contributo serio a questa squadra. Non segna, non fa assist, non riesce a fare quello che vuole. Non so se sia tornato dai mondiali o sia ancora in Brasile, ma se è vero che non riesce più ad allenarsi bene per colpa di quell’infortunio per cui si è scelta la terapia conservativa, invece dell’operazione, non ha senso comunque impiegarlo dal primo minuto. In nessun caso.
Kovacic invece è involuto. La sua partita è la sintesi estrema dei suoi difetti. Non tira e se lo fa gli riesce davvero male, non cambia il gioco e in questo caso non ha quasi mai tentato di creare. Si è rifugiato dietro una serie di banalissimi passaggi in orizzontale, fungendo più da cucitore di un gioco già abbondantemente rammendato. Ha fatto cose a cui già pensavano i suoi compagni. Lui ha dei piedi in grado di fare cose fantastiche ma sembra che gli manchi il carattere. Da qui a voler vendere
anche lui ce ne corre, anche se qualche tifoso su Titter non ha perso tempo a incalzare chi, come me, ha osato parlare bene del croato.
Ma quando l’Inter va male chi ne scrive è sempre un incompetente. Icardi poco servito ma come sempre poco partecipativo al senso della manovra. Podolski invece non è questo. Io l’ho visto giocare spesso in questi anni. E non è nemmeno la metà del giocatore che ho sempre ammirato. Vederlo impiegare 4 secondi per sistemarsi un pallone nel primo tempo e tentare un tiro, mentre il difensore del Torino si mette in posizione, trovando il tempo di fumarsi pure un sigaro prima di ostacolarlo, è
mortificante. Ci prova è vero ma questo non è Podolski. Non ancora almeno. Il guaio è che non c’è tempo e allora è giusto dire che lui, Shaqiri e ovviamente Brozovic, non sono ancora dei rinforzi ma delle promesse. Solo che non c’è tempo e l’illusione Champions è durata lo spazio di qualche mattino.
Raggiungere l’Europa league, quella è la vera necessità. Il paradosso è proprio quello di una società che si getta nel mercato facendo un'imponente campagna acquisti, di un allenatore che torna, amato da molti tifosi (ovviamente non da tutti), di un progetto che prende una consistente forma teorica è che se splende del futuro che immagina, nel presente viene sbriciolato da un destino tendente al sadismo. Insomma piovono pietre, come nel film di Ken Loach. Passeremo una settimana a sentire funerali, tifosi svuotati, sfoghi, accuse, il tormentone: "Il problema dell’Inter è…”, analisi, storie di conti pericolosi, rumors sui giocatori, indiscrezioni sul contratto di Mancini e tutto il campionario di rito.
Amala… però sbrigatevi.
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