Troppi alibi confondono e disorientano. Portano a mettere energie e attenzione dove non serve, e a non metterne dove servirebbero. Alibi sì, perché sono stati questi, uniti alla cronica, storica, innata e irremovibile capacità di autodistruzione, a portare l'Inter a perdere un terzo posto che nella prima parte di stagione era stato rinsaldato più dalle difficoltà e lentezze altrui che dal passo, buono ma non di certo eccellente, dei nerazzurri. E infatti appena quelli dietro hanno inserito una marcia diversa, la classifica è cambiata e quel terzo posto che sulla carta corrisponderebbe al valore e alla qualità dei nerazzurri ha cambiato colori e padrone. Per ora.
E con buona pace di un tifoso che dopo aver letto un editoriale in cui si sottolineava che Gattuso, per lo meno, trasmette al Milan grinta, cattiveria, compattezza al punto da spingere i suoi oltre certi limiti tecnici, scrisse che prendere come paragone i rossoneri significava essere "oltre la frutta". Così pare. Perché il calcio è fatto anche di cose molto semplici, una su tutte: mentalità. Caratteristica che l'Inter, per un motivo o per l'altro, continua a non avere. Ma il calcio è fatto anche di determinazione, convinzione e serenità. Non serve guardare in casa Milan, né tantomeno prenderlo a paragone.
L'Inter si è compattata per quattro partite facendo fronte alla telenovela Icardi nel modo più logico e incisivo: giocando e vincendo. Soprattutto, lo aveva fatto mostrando uno spirito di squadra che stava piacendo al di là di vittorie sfumate, errori arbitrali e chiacchiere a non finire che tutto hanno riguardato a parte il campo e il calcio. Proprio dopo Firenze, gli errori arbitrali, le sfuriate e i proclami, la risposta di Cagliari sarebbe stata fondamentale per valutare capacità di ricompattarsi e ripartire.
Ma forse, la certezza di essersi visti sottrarre due punti illegalmente la settimana prima e una frase incauta di un dirigente secondo cui proprio quei due punti sarebbero potuti costare la Champions, hanno, a quanto pare, autorizzato qualcuno ad andare in Sardegna per passeggiare. Ed è qui che gli errori arbitrali (per quanto clamorosi e indiscutibili) diventano alibi: se l'Inter ha messo a rischio il suo terzo posto non può essere colpa di Abisso. Sarà casomai colpa di quel misero punto portato a casa tra andata e ritorno con squadre come Sassuolo e Torino. O di una sconfitta casalinga col Bologna. Giusto e solo per fare gli esempi più ovvi.
Dire che la Champions era a rischio per colpa di quel rigore inventato ha avuto l'effetto di un "liberi tutti" nella testa, priva di mentalità vincente, di qualche giocatore. Gli stessi che due anni, fa, per loro stessa ammissione, mollarono completamente dopo un pareggio a Torino e terminarono la stagione in maniera quasi fallimentare. Gli stessi che lo scorso anno per due mesi non hanno visto la luce o hanno rischiato di fallire un obiettivo perdendo in casa contro il Sassuolo (oh ma possibile che il Sassuolo sia così insuperabile per l'Inter?) alla penultima giornata. Gli stessi che quest'anno, ogni volta che la stagione poteva svoltare e fare il salto di qualità, hanno avuto il braccino corto.
Tornando a Cagliari: il mancato rosso a Cigarini e la punizione inesistente da cui nasce il vantaggio sardo può giustamente far arrabbiare ma, di nuovo, non può nascondere il fatto che l'Inter abbia fatto sembrare il Cagliari il Real Madrid. I rossoblu correvano e pressavano il doppio e hanno persino confermato che quella tenuta difensiva che è sempre stato punto di forza, in questo momento della stagione è un punto debole. E senza ricevere l'accusa di invidiare il Milan, lo stesso Gattuso dimostra che tutto parte da una buona difesa: se non prendi gol i punti li fai e la classifica cambia.
A Cagliari l'Inter ha confermato di avere un problema enorme a centrocampo e di andare in confusione di fronte al pressing avversario. A Firenze i tre punti erano stati letteralmente tolti da un un episodio arrivato, per di più, oltre il tempo di recupero. Ma a Cagliari le sviste arbitrali del primo tempo potevano essere superate e annullate da una prestazione diversa. Questo però succede se nella testa pensi di essere tu a poter determinare, nel bene e nel male, quello che succede. E non se, nella testa, scatta la molla che ti porta ad accusare altri di quello che non raggiungi. La chiamano mentalità, sempre e solo quella semplicissima e complicatissima mentalità.
Ora che la classifica mette pressione e azzera il margine di errore, la squadra, la società e l'ambiente tutto possono e devono trovare quella compattezza per ripartire e riprendersi gli obiettivi. Responsabilizzando i giocatori visto che tutto dipende da loro. E mettendo di fronte alla sue responsabilità soprattutto l'ex capitano che, nel suo mondo parallelo fatto di una realtà virtuale, scrive di amare (o aver amato) così tanto l'Inter. Si inizi a convocarlo e, appunto, a responsabilizzarlo: sarà scelta sua, ma concreta e in una vita reale, non quella di Instagram, rispondere presente e scendere dal lettino del fisioterapista oppure no. La stagione ha ancora molto da dire, per chi vuole.
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