Per il quinto anno consecutivo l’Inter ha perso contro il Genoa. Il fatto è emblematico ma temo che anche questa volta le polemiche andranno in direzioni varie, con cognizioni di sfogo, senza intaccare nemmeno lievemente la corazza dell’autostima societaria o la sensibilità di una proprietà tanto disinteressata. Le critiche hanno iniziato a lambire le caviglie di Spalletti, il carico di stima verso di lui si sta rapidamente esaurendo e, dopo aver mandato messaggi a società e giocatori, il tecnico ha preso a svuotarsi di energia parlando a fine partita di lavoro da fare e rifugiandosi dietro frasi convenzionali, specie per lui “gli episodi ci hanno penalizzato”.
L’Inter si è battuta da sola affrontando, si fa per dire, il Genoa con il marchio di fabbrica della timidezza e della paura, senza la minima traccia di energia. Il primo tempo fila proprio come si teme. Tornano i lanci lunghi di Ranocchia, l’inconsistenza del centrocampo, il gioco velleitario fatto di spunti personali e una squadra senza voglia di vincere. Peggio: senza voglia di giocare. Cancelo costantemente fuori ruolo visto che non è un terzino, parte e rimbalza sempre sugli avversari, Karamoh si muove male e tocca il pallone anche peggio, Eder è isolato, Gagliardini, Borja Valero e Vecino formano un centrocampo straordinariamente mediocre. Arrivano due occasioni per parte, la prima è una prova generale per l’omaggio da fare al Genoa, con una palla innocua di Pandev verso Handanovic, il quale per paura dell’intervento di Hiljemark lascia saltare il pallone che rimbalza sulla traversa. Grottesco. L’azione più clamorosa per l’Inter è invece di Candreva, bravo nel liberare il tiro dopo una respinta della difesa genoana, Perin respinge e per venti minuti la gara torna ordinaria. In chiusura di primo tempo il suicidio sportivo: Karamoh perde un pallone con superficialità, parte un cross senza pretese nell’area nerazzurra che Skriniar intercetta, scaraventando la sfera contro Ranocchia incolpevole autore di quello che diventa un autogol.
Nel secondo tempo si compie il dramma, con il raddoppio di Pandev che crocifigge una squadra priva di anticorpi. Da quel momento è solo una lunga agonia fino al 90° che mostra solo come Skriniar e Rafinha non siano da Inter, nel senso che l’attuale squadra e la stessa società non possono dar loro quello che meriterebbero: grandi obiettivi da club ambizioso. I motivi per cui l’Inter è diventata così modesta non sono più ascrivibili all’allenatore di turno, ai giocatori che passano e non attecchiscono mai. La mediocrità calata sull’Inter viene dalla nuova dimensione di società ordinaria, priva di intenzioni vincenti e mentalità da grande club. E’ terribile anche solo pensarlo ma oggi dirigenza e proprietà non pensano o non sanno come rendere l’Inter una squadra da vertice. La giustificazione preferita è che il laccio del bilancio tiene in scacco Suning ma, se anche fosse, il fatto davvero grave è il criterio con i quali vengono scelti giocatori senza tanto sangue nelle vene.
Dal 2010 i giocatori presi per indossare il nerazzurro sono tutti privi di personalità, al punto da aver dato la fascia di capitano ad Icardi, quando era ancora troppo giovane e dunque inadeguato a trasmettere quei valori estinti dall’Inter così in fretta. Quando manca l’argentino si dà la fascia a Ranocchia, proprio perché le caratteristiche umane dei giocatori in rosa non prevedono il carattere. Basta guardare Genoa-Inter, con 90 minuti in cui nessun giocatore si arrabbiava, nessuno caricava i compagni, nessuno reagiva. Lo pseudo forcing nel finale è stato eseguito come un’esercitazione, con i giocatori che tentavano giocate che non prevedevano mai il tiro, il rischio, la bava alla bocca. Fa ancora più male vedere questo senso di mediocrità a cui molti tifosi si stanno abituando, arredando il tunnel e dicendo convintamente che questa Inter non è male e sostenendo di non salire sul carro quando le cose miglioreranno. Questa acriticità, viene da un ridimensionamento che sta durando da troppi anni e che sta abituando male le nuove generazioni di tifosi.
L’Inter al suo interno ha meccanismi di difesa che non prevedono l’autocritica. E’ una società sempre più lontana, in cui la sensazione più netta è quella di un luogo dove ci sono correnti, divisioni, difformità di giudizio e un’assenza di leadership. Esattamente come in campo. Non è una questione di risultati ma di atteggiamento in campo e fuori che l’Inter trasmette. Spalletti con le sue dichiarazioni estrapolate o pronunciate davanti ai giornalisti, ha rivelato molto di questo versante. Perciò si può continuare così, facendo finta che ogni anno sia colpa dell’allenatore, stupendosi sfacciatamente dei rendimenti altalenanti, oppure cambiare mentalità e cultura ai piani alti. L’Inter intanto sta precipitando come ogni stagione.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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