‘Volver es ganar’, ovverosia: ‘Tornare è vincere’. È uno dei motti che accompagna la ripartenza della Liga spagnola, campionato che ha ripreso a marciare lo scorso fine settimana. E quest’oggi sarà un giorno importante nel panorama calcistico internazionale anche perché è il giorno in cui ripartirà la Premier League, il campionato più seguito e qualitativo al mondo. Tornare è vincere, e questo sembra un po’ il leit motiv che accompagna tutti o quasi: tutti, o quasi appunto, felici che comunque il pallone sia tornato a rotolare sui campi, pur con tutte le precauzioni di sicurezza dettate da quella che ormai viene definita universalmente ‘nuova normalità’: spalti occupati solo da addetti ai lavori quando non dai giocatori in panchina, situazione che si spera possa durare soltanto per qualche giorno in più; gambe imballate dopo tanti mesi in cui non si è giocato nemmeno a livello di amichevole; problemi fisici in serie e novità delle cinque sostituzioni che fatica forse a essere maneggiata ancora pienamente dai tecnici. E la sensazione che fatica ad andarsene di un’annata che si vuole portare a termine per la logica dell’’ubi maior minor cessat’ e di vedere sostanzialmente adesso le amichevoli e i match di lusso che solitamente fungono come preparazione alla prossima stagione.
Tornare è vincere, si dice. Di certo, dal punto di vista prettamente sportivo, tornare a giocare per l’Inter non è coinciso con una vittoria, anzi. È ripartita con una delusione pesante la stagione dei nerazzurri di Antonio Conte, che hanno visto sfuggire un obiettivo che, in linea teorica, sembrava ampiamente alla portata, vale a dire la finale di Coppa Italia: questa sera, infatti, sarà il Napoli di Gennaro Gattuso a contendere il trofeo alla Juventus di Maurizio Sarri. Finale per certi versi a sorpresa, ma che premia quella che è stata la crescita di rendimento della formazione partenopea, rilevata da Ringhio in uno stato di marasma generale nel quale è stato bravo a trovare il bandolo della matassa.
Finale e onori per gli azzurri, rammarico e consueto gioco del fuoco incrociato ad accogliere i nerazzurri, che hanno forse pagato, prima ancora della disattenzione letale che ha portato al contropiede capitalizzato da Dries Mertens al San Paolo, una pessima gara di andata, giocata in un contesto normale. Non è bastato, purtroppo, mostrare probabilmente il volto migliore tra le quattro che hanno giocato le semifinali; non sono bastate le conclusioni in porta spesso ostacolate da un David Ospina in versione muraglia umana e la verve ritrovata di un ottimo Christian Eriksen, mentre è stato sufficiente al Napoli tenere sotto controllo le offensive avversarie con una gagliarda difesa per far sì che non si parlasse, oggi, di un ritorno dell’Inter in una finale che manca ormai dal lontanissimo 2011.
Ma lo sappiamo: siamo nel Paese del risultatismo sfrenato e, purtroppo, anche della polemica facile, e allora tutto quanto di buono fatto sostanzialmente vedere dalla squadra di Conte è finito quasi stritolato dagli strali di tanti addetti ai lavori e non, che come vulcani quiescenti e ribollenti non aspettavano altro che la prima occasione propizia per agitare i più svariati spettri intorno ad Appiano Gentile, come se poi fosse così realistico l’esercizio di esprimere giudizi sommari dopo tre mesi di stop forzato. Non si vuole parlare di processo ma certi commenti ne hanno tutto l’aspetto, specie quelli di chi sentenzia già una stagione fallimentare soprattutto per il tecnico nerazzurro, uno che nell’ultimo decennio è stato abituato a portare a casa almeno un trofeo nei club dove ha allenato. Quasi come a voler dire in tono beffardo che dentro l’ambiente Inter è presente una specie di sortilegio che annichilisce chiunque passi da quelle parti…
Forse stridono, in tal senso, le parole del post-partita del mister, quando dice che non si può vincere dall’oggi al domani specie dopo nove anni a secco, parole che probabilmente non rappresentano il massimo per uno proprio col suo vissuto lavorativo. Ma per il resto, Conte fa bene a dare ben poco peso a queste ricostruzioni da racconto di fantascienza, va avanti per la sua strada e sottolinea quanto di buono si è visto. Certo, la delusione rimane, specie tra i tifosi che vedevano comunque nella Coppa Italia un traguardo decisamente fattibile anche considerato il contesto. Ma usare questo episodio come spoletta da estrarre per sganciare la bomba del malcontento e delle accuse e per definire, a due mesi dalla chiusura, il bilancio dell’Inter simile a quello della squadra delle ultime due stagioni significa forse avere una visione semplicistica e a tratti miope della cosa calcistica. Dimenticando comunque il fatto che questa Inter, nonostante alcune partite comunque non brillanti, comunque ha fornito dei segnali di crescita, soprattutto appare ben lontana da quella fin troppo propensa ai black-out che andò in Champions League solo in virtù di una vittoria all’ultima giornata contro l’Empoli blindata con un rocambolesco salvataggio di Danilo D’Ambrosio.
Champions League e Coppa Italia sono andate via, ma ciascuna delle due eliminazioni merita un racconto ben contestualizzato. Soprattutto, qui si dimentica che sugli altri due fronti nulla è ancora finito. Perché, lasciando perdere il discorso del calendario favorevole che si prospetta alla ripresa della Serie A perché ogni qualvolta se ne parla il cataclisma incombe, la questione campionato adesso è tutta da vedere. Perché si tende forse a sottovalutare il fatto che il tanto decantato vantaggio della Lazio di Simone Inzaghi protagonista del torneo pre-Covid, ovvero l’assenza di impegni europei, è venuto meno per tutti, quindi tutti avranno la testa sul tour de force del campionato e lì si vedrà quanto profonda possa essere la rosa biancoceleste per reggere l’urto di tanti incontri ravvicinati; per cui, la sorpresa può anche essere dietro l’angolo. E poi, rimane l’agosto europeo bollente, con il finale di Europa League.
Oggi sarà una giornata importante per il calcio europeo, e non solo per il ritorno della Premier League. A Nyon, infatti, si deciderà il destino delle edizioni 2019-2020 di Champions League ed Europa League, con la diramazione ufficiale di formula, date e calendario. Anche se, dalle voci circolate nelle ultime ore, pare si tratti solo di mettere nero su bianco una decisione già presa: per entrambe le competizioni si va verso le Final Eight, da giocare in gara secca in un’unica sede, come avviene ad esempio nella pallacanestro con la Coppa Italia (formula comunque intrigante, che chissà potrebbe anche essere proposta per il futuro). Lisbona sarà il palcoscenico del knockout stage della Champions, mentre per l’Europa League è prevista una fase finale dislocata tra quattro città della Germania: Gelsenkirchen, Colonia, Duisburg e una tra Francoforte sul Meno e Düsseldorf (fonti discordanti, restiamo col beneficio del dubbio, anche se sarebbe più logica la scelta della seconda città essendo la capitale del Nordreno-Westfalia, Land dove si trovano anche le altre tre località). Non solo: in terra teutonica si giocherà anche l’ottavo di finale unico tra l’Inter e il Getafe, che dal momento della ripresa della Liga è già inciampato due volte, tra una sconfitta a Granada e un pari risicato in casa con l’Espanyol.
Si deve, pertanto, andare in Germania. Difficile, per i cultori del genere, non collegare questa frase a quel “Non si deve mai andare in Germania, Paolo” col quale, al culmine di quello che probabilmente è uno degli scherzi più belli, seppur nel suo cinismo, della saga di ‘Amici Miei’, Alfeo Sassaroli/Adolfo Celi, improvvisatosi finto amante di una donna davanti alla tomba dove la piange il marito, innesca l’ira del vedovo Paolo/Alessandro Haber che credendosi tradito finisce col ripudiare la defunta inveendo contro la sua tomba e scagliandole epiteti pesanti. Al di là del parallelo cinematografico, sì, Conte è chiamato ad andare in Germania: per provare a regalare all’Inter un trofeo importante e per regalare all’Italia una gioia europea dieci anni dopo l’ultima sempre colorata di nerazzurro. E anche per esorcizzare quel tabù chiamato Europa, replicando anche a chi vede nelle coppe un ambiente indigesto per lui. Non siamo purtroppo in un ristorante da 100 euro, in tasca forse ci sono più di 10 euro: l’incrocio tra domanda e offerta magari è possibile.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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