"Vi vogliamo così", cantava la curva Nord subito dopo il fischio finale di Inter-Lecce. In effetti, l'Inter, alla sua prima uscita ufficiale della stagione, è stata proprio come ogni tifoso l'avrebbe voluta. Vincente, affamata, concentrata, entusiasmante, persino bella. Dare giudizi dopo una sola partita, chiaramente, è superficiale e forse persino irrispettoso di un lavoro che può iniziare sì a mostrare carattere, trame e mentalità, ma che, necessariamente, richiede tempo, esperienza sul campo, allenamenti e sudore ancora in dosi massicce. Anche perché il mercato ha portato altri due rinforzi che la sapiente mano di Conte può trasformare in utilissimi tasselli di un ingranaggio che ha già fatto intuire di aver iniziato a girare. O a rincorrere, come direbbe l'allenatore.
Un allenatore che al termine della partita si è affrettato a sottolineare prima le cose che non ha gradito come, ad esempio, l'atteggiamento della squadra sul 2-0. Vero, verissimo. A voler essere puntigliosi come Antonio sa essere (del resto, è per questo che è stato voluto ed è per questo che può riuscire a cambiare la mentalità dell'Inter). Ma proprio da come l'Inter è riemersa da quei minuti iniziali del secondo tempo in cui sembrava poter concedere il fianco a un ritorno del Lecce o mostrare un calo fisico (come successo lo scorso anno in alcune gare di inizio stagione come con Sassuolo e Torino), proprio lì, sì, si può vedere un cambiamento e un progresso.
Perché passati quei minuti in cui il Lecce era riuscito ad arrivare davanti ad Handanovic, poi i nerazzurri hanno ricominciato a correre, a cucire, a verticalizzare, a cambiare gioco, a crossare, a tirare. E segnare. Entusiasmandosi ed entusiasmando con triangolazioni, intese e giocate che dimostrano una rinnovata fiducia nella testa prima ancora che nelle gambe degli interpreti. Oltre che una condizione fisica, tassello fondamentale per gli schemi contiani, già eccellente. Stefano Sensi sembrava che nella vita non avesse fatto altro che il doppio play al fianco di Brozovic e che avesse già calcato il prato verde di San Siro decine di volte; Lukaku non vedeva l'ora di essere acclamato al centro di un progetto e di poter ripagare tutti con corse, sportellate, scatti e gol. Ranocchia e D'Ambrosio non hanno fatto rimpiangere il duo Godin-De Vrij che della difesa detiene le chiavi; Candreva pareva essersi scrollato di dosso almeno tre anni di difficoltà, incertezze e pure insulti presi.
Tutto bello, tanto, troppo. Al punto da non poter sembrare vero. E, infatti, quanto ci sia di vero in un'Inter dominante fisicamente e tecnicamente lo dimostreranno le partite successive, a cominciare da quella contro il Cagliari di un Nainggolan che di avvelenato avrà ben più di un dente ma che, comunque, ha saputo guadagnarsi il rispetto dei suoi ex tifosi per una scelta che ne incornicia la voglia di riscattarsi e rimettersi in discussione. Al contrario di colui che esce dalle feste nascondendo la faccia dietro i palloncini, che manda avanti altri a parlare al posto suo e che, ultimamente, sembra più avvezzo a frequentare studi di avvocati che non campi di calcio. Uno che pare godere masochisticamente nel fare sempre la scelta sbagliata, uno che vuole mettersi a forza sempre e comunque al centro di tutto in ossequio all'egocentrica teoria del "bene o male, purché se ne parli". Uno che non è stato invitato a quella che ha tutta l'aria di essere una delle migliori feste degli ultimi tempi e che allora, per ripicca, prova a rovinarla agli altri. O senza capire che l'unica cosa a finire in rovina rischia di essere una carriera. Credibilità e professionalità, invece, se ne sono andate da tempo.
Ma l'Inter attuale sembra essere granitica e compatta prima di tutto come società: difficile metterla all'angolo e pensare di minare un progetto ambizioso e concreto che ha pensato a mettere uomini e valori nei posti giusti per creare qualcosa di nuovo rispetto alle fragilità, alle schizofrenie e all'inaffidabilità del passato. L'Inter ha iniziato a correre contro il Lecce e per apprezzarne bellezza e capacità serviranno molte altre prove. Con dirigenti seri e capaci, un allenatore esplosivo, un gruppo compatto, affiatato e consapevole di trovarsi al centro di una rivoluzione, di certo è lecito mettersi comodi per assistere allo spettacolo. Che, comunque andrà a finire, promette di meritare la visione.
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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