Ci sta che la squadra più debole dia il meglio di sé nei primi minuti, come a voler dimostrare di poter far male nonostante le proporzioni. Il pugile meno quotato, quello non gonfio di muscoli e poco solcato da vene, picchia forte nei primi secondi, uno-due uno-due sul volto, perché è questa l’unica via che possa percorrere per avere la meglio. Di fronte, però, ci si attende la reazione vigorosa, leonina, quella dettata dall’orgoglio e spinta dalle qualità superiori: l’atleta più forte, dopo la sfuriata dello sfrontato avversario, deve avere la meglio, portando il contrattacco non solo con rabbia, ma con metodo e classe. Eccolo, l’interrogativo più inquietante che possa sopravvenire alla mente del tifoso dell’Inter dopo la gara di Bologna. La reazione, sarebbe stupido negarlo, c’è stata. Nel secondo tempo, infatti, arrivano gli innumerevoli calci d’angolo rimediati su altrettanto innumerevoli cross in fotocopia, insieme alla macroscopica e generosa imperizia di Mbaye: l’Inter, insomma, a un certo punto è arrivata, in qualche modo. Ciò che desta preoccupazione, appunto, è il modo. Quel disordine che ritorna, con prontezza allarmante, è il tratto più rilevante della cifra tecnica sciorinata dai nerazzurri ieri sera. Disordine, panico e poco altro. Così si arriva ben poco lontano.
PRESI IN MEZZO - Stanchi o sorpresi che fossero, i centrocampisti dell’Inter hanno rappresentato il vero deficit della squadra nell’impatto col match. Borja Valero e Vecino amano palleggiare, dunque attendono la sfera. Peccato che il pressing del Bologna si porti praticamente dietro le loro spalle, a bloccare quelle linee di passaggio che dovrebbero in qualche maniera consentire ai due di dialogare col consueto e rodato fraseggio. La necessità di contrastare le incursioni avversarie, invece, li coglie accerchiati e poco pronti, col risultato che Borja Valero cerchi spesso l’anticipo, cimentandosi in scivolate che non sempre rispondono alla sua fama di centrocampista totale; saltato lo spagnolo, Vecino rincorre, ma i vari Verdi e Di Francesco hanno un passo diverso, e giungono lanciati a mille sulla difesa che li attende, ferma com’è. Sull’azione del gol rossoblu, infatti, il figlio del tecnico romanista è del tutto libero sulla sinistra, ma Verdi può permettersi il lusso di ignorarlo bellamente, tanta è la prateria che ha davanti. Alle mancanze tattiche dei due mediani, si aggiunge l’ormai proverbiale atteggiamento di Joao Mario, che non riesce mai a garantire un rientro costante ai suoi compagni di reparto. Il portoghese, peraltro, è apparso meno lucido del solito anche in fase offensiva, con una sequela inquietante di palloni mal gestiti e poi buttati via. Davanti, Spalletti chiede a Perisic e Candreva di accentrarsi, nel tentativo di porre rimedio all’imbarazzante superiorità del Bologna a centrocampo; questa scelta, però, regala un’Inter sterile anche in fase di riproposizione, con un Perisic mai pienamente convinto di quale fosse la sua posizione in campo, mentre Icardi provava timidamente a venire a caccia di palloni, dote che, com’è ben noto, non abbonda nelle corde dell’argentino.
VECCHI FANTASMI - Le botte da orbi che l’Inter rimedia nel primo tempo non portano a una reazione ragionata nella ripresa. Tra i meriti di Spalletti in questo avvio di stagione, si è spesso evidenziata la lucidità che il tecnico di Certaldo ha restituito agli smarriti giocatori interisti nel tentativo di ritrovare la loro qualità, perduta sotto le macerie di annate infami. Ebbene, ieri sera si sono rivisti i fantasmi. Ancor più della brutta prestazione di Crotone, lì dove i nerazzurri hanno potuto riempirsi il petto col vento propizio della fortuna, l’Inter di Bologna non ha saputo raddrizzare se stessa dopo la sbandata. Il tentativo di rimonta portato avanti nella seconda frazione è un qualcosa di confuso, affidato alla regia di uno Skriniar tuttofare, in generale non riassumibile in un ritratto coerente. Si cerca il fondo, si tenta il cross, si ottiene l’angolo, e via così. Serve un’improbabile e rovinoso crollo di Mbaye in area avversaria perché si possa raggiungere il pareggio, confidando più che mai nelle altrui disgrazie, piuttosto che nelle proprie doti. L’ingresso di un Brozovic ancora impalpabile, dal canto suo, dimostra che la coperta in mezzo è quanto mai corta, chiamando sul banco degli imputati anche la gestione dell’estate da parte della società.
IL BRUTTO - Eppure, questo pari è oro. Lo è per come si era messa la gara e lo è per la classifica, che comunque continua a sorridere in ottica quarto posto. Lo è per la squadra, che non poteva essersi già scoperta stellare con pochi innesti e un anno da incubo alle spalle; lo è per Spalletti, a suo modo, che ben saprà quanto la sua Inter debba lavorare. L’ultimo pensiero è rivolto proprio al tecnico toscano, e al suo senso estetico e pratico. Luciano Spalletti sa, da uomo di bel calcio, che i suoi risultati sono spesso vincolati alla riuscita di un’idea, di quel gioco a due tocchi che ha fatto innamorare mezz’Italia ai tempi della prima Roma, quella che duellava con l’Inter di Ibra. Più di recente, Spalletti ha apprezzato il gioco in verticale, quello che si giovava degli strappi di Nainggolan e Salah, abili a improvvisare sul copione tattico interpretato a puntino da gente come Strootman e Dzeko. L’Inter, invece, pare da un po’ vittima di un enorme calo di lucidità, con il calcio arioso di fine agosto che si è fatto via via più soffocato e brutto. Quanto mai brutto. Crotone e Bologna, da questo punto di vista, sono due capitoli infausti e, insieme, la dimostrazione pratica che quest’Inter, per poter fare con serenità il risultato pieno, deve ricominciare a giocare. Lo vuole il suo tecnico, da sempre, e lo vuole la sua rosa, concepita anche in quest’ottica. Per trovare fin da subito piacere e risultati, l’Inter torni a giocare a calcio. Non c’è banalità al mondo più grande di questa, ma in questo momento non c’è nulla di più vero.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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