Christian Eriksen è arrivato a Milano dopo un mese di estenuanti trattative, con attorno a sé l’aura del tassello mancante per provare a dare l’assalto definitivo alla legacy della Juventus in Italia. Com’è fisiologico, ha dovuto affrontare un periodo di ambientamento frenetico visto che tra gennaio e febbraio l’Inter ha dovuto giocare ogni tre giorni e il sistema di Conte - soprattutto per quanto riguarda i centrocampisti - è rinomato per la sua procedura d’inserimento. C’è chi ha già cominciato a bofonchiare sostenendo che Eriksen non è poi questo campione, se non riesce a togliere il posto a un giocatore ondivago Vecino. Chi è più realista capisce le difficoltà che una nuova esperienza comporta: una lingua diversa, un calcio e un sistema completamente opposto a quello cui Eriksen era abituato.
Come se non bastasse, la situazione delicata del CoVid-19 che ha compromesso la stagione calcistica. Non è semplice essere subito decisivo, soprattutto perché Eriksen è un giocatore peculiare che deve essere capito e integrato, prima che possa risultare decisivo. Ha mostrato sprazzi di talento assoluto, trovando i compagni in corridoi decisivi e sfoderando una punizione nel derby che qualora fosse entrata si sarebbe urlato al capolavoro. Il tempo, questo tiranno. Ma, si sa, per tutte le grandi rivoluzioni bisogna pazientare un po’.
TALENTO - Eriksen è un predestinato fin dai tempi dell’Ajax: gioca un calcio lento e cervellotico con De Boer, prima di passare a soli ventun’anni al Tottenham, dove inizia un percorso di apprendistato per diventare un centrocampista moderno, totale. Pochettino rivoluziona la sua posizione e ne capisce le potenzialità: non ha tra le mani il classico numero 10, alla Sneijder per intenderci, ma un ibrido in grado di capire il gioco, leggere le partite e scegliere sapientemente il ritmo con cui far progredire la squadra. Pochettino ha definito Eriksen il cervello del suo Tottenham per la capacità che aveva di associarsi con i compagni e di trovarli, mandandoli spesso e volentieri in porta.
Anche in questo caso, Eriksen ha avuto bisogno del primo anno di ambientamento. Poi, nell’anno del Leicester dei miracoli, si issa a condottiero della squadra e alza il livello di prestazioni. La finale di Champions League raggiunta lo scorso anno testimonia la capacità di miglioramento che la squadra, ed Eriksen in particolare, hanno sviluppato in ogni stagione.
In particolar modo, Eriksen è stato usato da Pochettino come grimaldello tattico per scardinare le difese avversarie. Grazie al suo QI calcistico, evidentemente sopra la media, Poch ha chiesto al danese di portare all’estremo le sue caratteristiche ibride, interpretandole in moduli diversi: dal 4-2-3-1 al 4-3-3, passando per il 3-4-1-2 che potrebbe essere una delle soluzioni attuate da Conte quando si tornerà in campo.
INTER - Del resto, il posizionamento di Eriksen è stato uno dei grossi temi su cui si è dibattuto durante le settimane che hanno portato al suo approdo a Milano. È chiaro che Conte prediligesse un acquisto diverso a gennaio, in grado di inserirsi meglio nel gioco fisico e piratesco della sua Inter. Vidal, per intenderci. Le infinite vie del mercato gli hanno invece portato in dote il miglior giocatore disponibile, per di più a prezzo di saldo. Conte ha capito che fra le mani aveva la possibilità di fare una rivoluzione e di rendere meno stantio un gioco che nel corso della stagione aveva perso brillantezza, senza mai più riuscire a toccare le vette dei primi mesi.
Un Eriksen integrato al sistema di gioco dà infinite possibilità. Le criticità sono legate al fisiologico adattamento al nuovo sistema e alla poca propensione alla difesa posizionale del centrocampista danese: Pochettino ha instillato in lui i dogmi del gegenpressing, quindi il numero 24 in primis deve effettuare una conversione di pensiero non indifferente. Nulla che un po’ di esercizi tattici e qualche partita al ritmo di Conte non possano coadiuvare.
Il primo tratto del calcio di Eriksen che salta all’occhio, anche nelle prime gare a Milano, è la sua capacità di smarcarsi per ricevere il pallone, in qualsiasi zona del campo. L’Inter dovrà fidarsi della sua inventiva per scoprire nuovi modi di andare in porta: modulare la velocità di gioco, senza per forza andare sempre a mille all’ora, ha rappresentato una delle criticità nelle gare europee di questa stagione e il metronomo danese potrebbe essere la svolta.
Ma quindi, come giocherà l’Inter con Eriksen? Il cantiere è aperto. L’idea potrebbe essere quella di discostarsi leggermente dal 3-5-2 con cui Conte ha issato l’Inter fino al primo posto in classifica, con un 3-4-1-2 in cui Eriksen prende idealmente il posto di Stefano Sensi a supporto delle due punte. Qualora il numero 12 torni a essere il fuoriclasse dei primi mesi all’Inter, Conte potrebbe anche dar sfogo a tutto l’estro della trequarti varando un 3-4-2-1 con i due funamboli a supporto dell’unica punta, Lukaku.
Qualora si volesse osare di più, l’Inter potrebbe sfoderare uno schieramento con la difesa a quattro in cui Eriksen coordina il lavoro a centrocampo, giostrandosi fra i compagni di reparto e gli esterni, da azionare pescando i loro tagli alle spalle della difesa. Niente che non abbia già fatto con Pochettino, insomma.
Ovviamente stiamo parlando di numeri, progetti teorici. A parlare sarà il campo e il modo con cui Eriksen saprà creare un feeling con i compagni. Tutti sanno che il suo inserimento potrebbe essere uno degli ultimi elementi per la continuità di rendimento dell’Inter, a un passo dalle grandi di Serie A. Saranno pronti per la rivoluzione?
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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