Un’ora di agonia, per poi avere venti minuti adrenalinici. L’Inter di quest’anno è così, senza mezze misure: per accendersi non ha bisogno della scintilla, come l’anno scorso: c’è bisogno dell’intero barilotto di dinamite. La miscela è esplosiva: quattro gol in venticinque minuti per cancellare l’onta di una prestazione sottotono, una delle peggiori dell’era Conte. Ma, si sa, la vittoria scaccia i fantasmi un po’ più in là: l’Inter prende fiato e immette tre punti fondamentali nella propria classifica, ricomincia a correre dietro alle prime della classe e spera che tutti i tasselli vadano al proprio posto. Perché anche contro un Real Madrid rimaneggiato e in difficoltà come quello visto nelle ultime settimane, a giocare come contro il Torino il rischio di salutare la Champions League prematuramente è altissimo.
INCEPPATI - L’Inter è stata riassunta dal proprio totem al termine della partita. Lukaku ha parlato, senz’appello: “Non siamo una grande squadra, oggi abbiamo giocato per un’ora senza voglia. Poi ci siamo svegliati”. Il Torino cerca di complicare la partita a Conte in ogni modo, schierandosi a specchio e sfruttando l’impostazione bassa per creare superiorità numerica nelle zone di possesso granata: il pressing interista va a vuoto e si perde sempre l’uomo libero. In attacco, l’emblema dell’intoppo nei meccanismi di Conte è la posizione di Hakimi: da freccia sulla corsia nelle prime gare, all’essere sempre schiacciato a ridosso della linea dei difensori avversari, senza movimenti per ricevere.
Cos’è andato storto? L’Inter è lentissima a risalire il campo e si perde in un bicchiere d’acqua, con la posizione di D’Ambrosio e l’impostazione di Ranocchia che non riescono a dar brio al resto dei compagni. A tutto questo si aggiunge uno spirito di squadra che è sembrato quasi arrendevole, tutto il contrario di un Torino sbarcato a Milano in assetto da battaglia: Zaza e Verdi (finché rimane in campo) sono una spina nel fianco dei difensori, così come Singo usa Young come casello del telepass: l’inglese non lo vede mai. Come se non bastasse, al termine di un primo tempo complicatissimo, l’Inter si punisce da sola: il gol di Zaza è una beffa perché nasce da un passaggio no-look a memoria di Sanchez per Gagliardini, che non è dove dovrebbe essere. Aveva senso fare quella giocata, a 10’’ dall’intervallo? No, Alexis. Ma il fatto che anche quel meccanismo sia saltato è emblematico.
FURORE - La ripresa inizia come peggio non si potrebbe. Una nuova folata offensiva del Torino - coadiuvata dal VAR - porta Ansaldi a battere dal dischetto. 0-2, severo ma giusto. Poi non si sa bene cos’è successo: forse nel Toro entra un fattore psicologico, visto che quest’anno la squadra di Giampaolo ha perso quattordici (sì, 14) punti da situazione di svantaggio. Forse l’Inter - che aveva lo stesso problema non più tardi di qualche mese fa - si è guardata negli occhi e ha capito di aver toccato il fondo. Dentro i 4 gol dell’ultima mezz’ora c’è tutta la rabbia, tutto l’orgoglio di un gruppo che non può essere davvero questo. La zampata di Sanchez, la doppietta di Lukaku e la mitragliata finale di Lautaro devono essere il punto d’inizio di una nuova stagione, quella della concretezza: se quest’anno l’Inter vuole essere una seria contender, deve ripartire da qui.
LULA - Un capitolo a parte lo merita Romelu Lukaku, la cui assenza è stato un macigno insostenibile per l’Inter. Dopo il passo falso di Bergamo, Big Rom si riprende il controllo dell’attacco interista giocando una partita intensa, fatta di sponde e accelerazioni, in attesa del momento giusto.
Poi, quando tutto sembrava perduto, Conte mette dentro la difesa titolare, schiera Perisic e complice la ritirata del Torino la partita prende un altro senso. La traversa colpita a botta sicura sembra la beffa finale, come il palo colpito sempre da Big Rom sul 2-2. Il gruppo ribalta la gara, Lukaku sigilla il suo 30° gol in Serie A. La Lula festeggia mitragliando, un sorriso in un pomeriggio che prometteva solo nubi. La strada è ancora lunga per diventare una grande squadra, ma la forza di un gruppo la si vede anche quando compie il tragitto dall’inferno al paradiso, nello stesso pomeriggio. Per rimettersi sul sentiero principale e issarsi nelle prime posizioni, lì dove l’Inter deve stare.
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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