Non ci voleva. Come quando sei nel momento di massimo impegno, a lavoro hai tanto da fare e tanto da guadagnarci, la sera vuoi uscire e ti torna quella brutta influenza contro la quale ormai pensavi di essere al riparo, ma che di tanto in tanto fa di nuovo capolino e blocca ogni tua velleità. L’Inter, dopo tre gare senza gol all’attivo, può ahilei dire di esser di nuovo convalescente e la malattia, guarda caso, è più o meno sempre la stessa. È difficile lottare in modo credibile per il quarto posto se non finalizzi neanche quando i problemi inerenti al gioco sembrano ormai alle spalle, e la produzione offensiva non è più asfittica come quella esibita nella prima fase del campionato.
TU MI FAI GIRAR - La gara di Bergamo, da questo punto di vista, rappresenta peraltro un sicuro passo indietro, vista la bambola in cui la squadra di Spalletti stava rischiando di affondare nella prima frazione di gioco. Il ritmo dell’Atalanta, per carità, è difficile da reggere per la quasi totalità delle squadre di Serie A, e l’Inter fallisce senza appello il test contro uno degli avversari più ostici e probanti che potessero capitarle in questa fase di ritrovata insicurezza. Il fatto che nella ripresa gli ospiti vengano infatti fuori piano piano dalla morsa avversaria non può non essere addebitato anche a un evidente calo dei bergamaschi che, se avessero continuato per tutti i 90’ sui ritmi della prima frazione, avrebbero destato dubbi sulla natura umana dei loro quadricipiti.
SPAESATO - Le difficoltà che l’Inter ha rinvenuto nel far uscire la palla dall’asfissiante pressione avversaria possono certo essere addebitate anche all’assenza di Brozovic, inedito faro di questa squadra quando la notte è assai buia e non si vede proprio la strada per la porta avversaria. Borja Valero, che doveva sostituirlo, sta mostrando con sempre maggior puntualità i suoi grossi problemi di tenuta, che si manifestano tanto più quando il ritmo è particolarmente elevato. Non si tratta tanto di una questione di fiato e capacità polmonare che si riduce alla distanza: anche nel pensiero e nel senso della posizione, due fondamentali in cui lo spagnolo si è spesso segnalato nella sua carriera, Borja sembra ormai più lento di chi gli sta intorno fin dal 1’: se si corre e se si viaggia, avversari e pallone, a una velocità più sostenuta del solito, l’ex Fiorentina sarà quasi inevitabilmente a zonzo per la mediana senza riuscire mai a diventare padrone del proprio destino e della manovra dei suoi.
LE ORIGINI DEL MALE - Non stupisce più ahimè sottolineare quanto la vena di Perisic rasenti lo zero da mesi e mesi, con fiammate che ormai sono un tratto troppo sporadico per essere significativo. Accanto a lui, un Icardi mai davvero nel vivo del gioco, e caricato sostanzialmente a salve – guarda caso – da tre partite. La questione inerente all’argentino e al suo peso nel gioco e nei risultati dell’Inter continua ad esistere tra tifosi e addetti ai lavori soprattutto proprio per via di una distribuzione delle reti che è troppo poco regolare perché l’Inter possa continuare a contare solo su di lui. Aver affidato a Icardi ogni responsabilità di finalizzazione è una scelta controproducente per lui e per la squadra, dal momento che il bomber di Rosario è e resta un cecchino implacabile, ma assomiglia più a un campione che a una leggenda, di quelle che timbrano il cartellino ogni volta e ti lasciano partire dall’1-0 in automatico. Questi giocatori (al mondo, oggigiorno, se ne contano soltanto due) pure necessitano di compagni che, di tanto in tanto, condividano con loro una fetta di responsabilità; figurarsi, dunque, il venticinquenne argentino, che ha sulle sue spalle anche l’aggravante di una scarsa abitudine a venire sulla trequarti a dialogare, perlomeno in quei giorni in cui noti che davanti proprio non ti riesce nulla.
IL FARMACO SBAGLIATO – Se l’Inter si ammala ripetutamente di sterilità offensiva nell’arco della stessa stagione, è proprio l’andamento dei suoi guai a denunciare l’origine del male nella costruzione della rosa. Aver lasciato il peso della realizzazione solo sulle spalle di Icardi è appunto controproducente, come si è dimostrato poco lungimirante aver lasciato sostanzialmente invariato un reparto offensivo che, almeno fino all’ingresso di Rafinha dopo il mercato invernale, poteva cercare la porta solo a partire dalle fasce laterali, con traversoni che gli avversari hanno imparato a prevedere dopo un paio di mesi da inizio anno. Rafinha, dicevamo, che ieri sera ha pensato bene di sfogare la propria delusione nel privato di un cappotto avvolto a protezione delle sue espressioni, una volta che il brasiliano era uscito dal campo per lasciar posto a Eder. La gestione dell’ex Barça è senz’altro segnata dalla volontà di risparmiarlo, specialmente quando si deve giocare anche in settimana. Chi scrive, d’altra parte, non crede sia giusto neanche incolpare Spalletti di scarsa chiarezza tattica per aver disegnato l’Inter con la difesa a tre nella sfida di ieri: certo, Santon in campo dopo mesi ha destato qualche dubbio, ma lo schema con D’Ambrosio centrale aggiunto è un dispositivo tattico che i nerazzurri usano da mesi a gara in corso, e che non può essere in sé la causa della bambola cui l’Inter ha sottostato nella prima parte di gara. Piuttosto, sarebbe opportuno evidenziare che questa squadra non ha certamente problemi difensivi (solo un gol preso nelle ultime otto gare) tali da andare a giocarsela a specchio con l’Atalanta, tanto più se questo implica la rinuncia a un attaccante a favore di un terzino spostato a centrocampo: il cambio Santon-Karamoh, giunto solo nel finale, ha ristabilito le cose sugli standard di formazione che Spalletti avrebbe dovuto forse rispettare fin dal 1’, vista l’assenza di Candreva. Anche il medico, insomma, ha sbagliato la diagnosi: l’Inter continua a tossire da mesi quando si tratta di andare in gol; se si continua a pensare di poterla curare col farmaco sbagliato, peraltro togliendole anche un giocatore in fase offensiva, la guarigione non può che allontanarsi, e con lei il traguardo stagionale.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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