Più brutta che mai, bloccata da una sorta di tremarella istantanea che si è fatta sentire fin dal calcio d'inizio, quando Vecino risolve il suo lungo meditare sul da farsi con un'inspiegabile pallaccia buttata in fallo laterale a cercare un movimento che Cancelo non avrebbe mai neanche potuto vagheggiare in sogno. Roba da non chiedersi neanche il perché, come si fa di fronte ai gesti inconsulti dei bambini.
C'è come una sorta di attesa rassegnata che precede ogni uscita dell'Inter da qualche mese a questa parte. Il male è tornato, identico a quello delle stagioni scorse, e siamo un po' tuti abituati e pronti a non sapere quanto in basso ci si potrà spingere nel baratro. Il problema, però, è che questa predisposizione d'animo deve aver toccato anche l'emotività dei giocatori di Spalletti, pronti da anni a scivolare nel più completo panico quando cade il primo ko stagionale, e ormai giunti a dubitare di se stessi e della propria statura di giocatori di calcio anche al primo controllo errato, a giudicare da ciò che si vede in campo con l'andare dei minuti. In quest'ottica, la determinata veemenza con cui Skriniar e Ranocchia hanno infilato la porta di Puggioni può certo lavare via dal groppone dei nerazzurri qualche etto di terrore. Lo slovacco, in particolare, ha ribadito in rete una palla viziata da un paio di lisci e tocchi confusi, di quelle che lì dentro devi quasi portarcele per mano, sennò non entrano.
Se il problema è mentale, come pare sempre più palese, ogni volta che arrivano i tre punti, pur se in modo rocambolesco, può essere la volta buona perché la situazione torni simile, se non identica, a quella che fino al 3 dicembre aveva condotto l'Inter a giocarsi con buon ottimismo le sue carte nella corsa alla Champions League. Le sfide con Milan e Napoli, da questo punto di vista, potranno senz'altro fornire qualche motivo in più di ottimismo, qualora dovessero arridere ai nerazzurri. Il punto, però, risiede proprio in questo 'se', grosso come una casa. Una squadra in completa balìa di se stessa, delle proprie angosce e di un San Siro ormai stanco e severissimo non reggerebbe neanche 5' di fronte all'arrembante entusiasmo con cui scende in campo il Milan di Gattuso; del Napoli, poi, manco a parlarne, ché mentre scrivo ne avrebbero già fatti un paio.
Certo, gare come le prossime si preparano da sole, non servono ulteriori motivazioni e giù con l'elenco di frasi fatte che potremmo associare a qualsiasi appuntamento di prestigio. Occorre però capire se il terrore mostrato dall'Inter del primo tempo derivi dalla pressione di dover fare la partita, o viceversa se si tratti di un disagio già profondo che si acuisce quando si alza la posta in palio e gli occhi addosso si moltiplicano. Il fatto che questa squadra abbia faticato soprattutto contro le più piccole, toccando i rari picchi di decenza di questi ultimi mesi proprio negli scontri diretti con le romane, lascia nettamente propendere per la prima ipotesi. Con Milan e Napoli, dunque, non dovremmo sorbirci ancora momenti di totale imbarazzo nella gestione del pallone soprattutto da parte del centrocampo, che guarda caso ha magicamente ritrovato la più banale serenità delle cose semplici una volta che la squadra è passata in vantaggio. Ma ciò non basta, proprio perché non tutti i problemi si esauriscono nella testa.
Esiste purtroppo un fatto tecnico non di poco conto. Sia chiaro, questa squadra non è magicamente diventata una compagine da bassa classifica, né - secondo chi scrive – i risultati del travolgente avvio di stagione erano stati gonfiati da pali, caso, fortuna e divinità varie. Mancano però alcune funzioni che sono vitali in un calcio che si fa sempre più teso, tirato, e orientato a veder prevalere chi sa sfruttare le occasioni. Chi può dimenticare la conta tra Mihajlovic e Adriano a decidere chi dovesse battere un calcio di punizione? Oggi la migliore possibilità è la soluzione di seconda per Eder, con la barriera che ringrazia. L’arrivo di Cancelo – che l’imprevedibile vento del mercato possa lasciarlo da queste parti! - ha almeno aggiunto un crossatore pressoché infallibile a una squadra che di traversoni ne produceva molti, ma in modo perlopiù insoddisfacente. Manca però chi sappia metterla nel sette da punizione e, magari, anche qualcuno si assuma la responsabilità di un tiro da fuori ben fatto almeno due volte a partita. Spalletti, a inizio anno, aveva trovato un’ottima soluzione nel gioco, seppur ripetitivo, ad allargare il campo: sta adesso alla sua sapienza trarre il massimo da ciò che ha in vista di uno sprint assai poco facile.
Singolare, poi, il fatto che a rimettere l’Inter sulla propria carreggiata ci abbia pensato la coppia difensiva, protagonista della brutta serata di Genova e anche ieri autrice di una prova allarmante, con un’enorme difficoltà di intesa nel capire chi dovesse uscire in anticipo sull’avversario lanciato in contropiede mentre l’altro ripiegava a protezione della porta. La speranza è che le due reti restituiscano fiducia a Skriniar e Ranocchia, oltretutto due ragazzi intelligenti che sentono con sincero calore la causa nerazzurra. C’è anche del buono, insomma, in quest’Inter, in questo spogliatoio dove si lancerebbero piatti e si solleverebbe una sommossa al giorno: l’abbraccio tra Brozovic e Icardi è una buona risposta ai cantastorie che ronzano intorno al gruppo, i fischi del pubblico all’ingresso del croato (non all’uscita, all’ingresso!) una pagina da strappare via. Il masochismo, da queste parti, è duro a morire; altrimenti, non si spiega come si contribuisca inconsapevolmente al male di un’Inter visibilmente terrorizzata e insicura aggravandone da fuori le paure più nere. La tanto richiesta compattezza dell’ambiente è tutta un’altra cosa.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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