Radja Nainggolan a tutto campo ai microfoni di France Football. Dopo le anticipazioni di ieri (RILEGGI QUI), ecco ulteriori stralci dell’intervista rilasciata dal centrocampista dell’Inter al prestigioso magazine transalpino, dove si toccano molti aspetti anche extra-campo.
I calciatori non dovrebbero sentire il dovere di fungere da esempio?
“Se sapeste il numero dei giocatori che fumano! Perché essere ipocriti e nascondersi perché si fuma una sigaretta? Bisogna essere veri e dimostrare che anche un giocatore può condurre una vita normale. Una persona che lo nasconde ha altre cose da nascondere nella sua vita. E questo non è il mio modo di vivere”.
Che tipo di rapporto ha col Belgio, inteso come nazione?
“Sono fiero di arrivare da dove arrivo. Se sono un uomo piuttosto onesto e diretto, lo devo alla mia infanzia che non è mai stata facile. A volte non è facile raccontarla, perché ci sono dei pessimi episodi, ma un passato difficile aiuta ugualmente a diventare un uomo forte. Devo evitare di fare passi falsi come avrei potuto fare e questo per dare l’esempio ai miei figli”.
Cosa ha di indonesiano, oltre al nome e al cognome?
“Non tante cose. Non ho rinnegato nulla, ma non sono cresciuto con quella cultura, anche se fisicamente si vede che sono orientale. Sono fiero delle mie origini, sennò avrei già cambiato il mio cognome. I genitori restano i genitori, malgrado la mia relazione difficile con mio padre”.
Si sente belga al 100%?
“Mi sento come qualcuno d’Anversa, una bella città con una grande storia. Vengo da Linkeroever, un quartiere particolare dove i residenti e gli stranieri di ogni luogo convivono molto bene insieme. Alcuni prendono brutte strade, come il traffico di droga o le rapine, come in tanti altri quartieri. Per evitare questo, ho costruito per i più giovani un progetto con la regione. Quelli che vogliono giocare a calcio devono comunque fare i loro compiti. Se vogliono diventare professionisti, non hanno altra scelta che studiare. Voglio provare ad aiutarli”.
La gioventù difficile ha condizionato il suo modo di giocare?
“Non per forza il mio stile. Ogni giocatore ha il suo: si può essere tecnici, robusti, rapidi, intelligenti. Quello che conservo del mio passato è la volontà di migliorarmi, anno dopo anno, partita dopo partita, senza fissarmi limiti. Questa è la mia fortuna in rapporto a quello che ho vissuto da piccolo”.
Georges Leekens, suo ex ct, ha detto che lei ha una mentalità vincente, non veramente belga.
“Al momento del nostro incontro, mi parlava francese perché convinto che io non mi esprimessi in fiammingo. Questo fa capire quanto mi conoscesse! Ma a parte questo, fa parte del mio stile di gioco”.
Si può considerarla calcisticamente italiano, visto che non ha beneficiato della riforma della formazione belga che ha rilanciato la Nazionale?
“Vengo da un’altra scuola. Ho lasciato il Belgio nel 2005. Lì ho imparato le basi, ma in Italia sono diventato un calciatore, da un punto di vista tecnico e tattico”.
Ha dichiarato di amare il suo ruolo perché le permette di fare tutto: difendere, costruire, concludere. Quale aspetto preferisce?
"Una squadra è un corpo composto da buoni giocatori scelti per dare il loro contributo. E io ne faccio parte. Quello che preferisco è dare una mano ai miei compagni, dare tutto perché tutto possa funzionare nel miglior modo possibile”.
Com’è entrato il calcio nella sua vita?
“Avevo quattro anni, andavo a giocare al parco. Si può dire che sono nato con il pallone. Poi ci vuole un po’ di fortuna, essere al momento giusto nel posto giusto, sfruttare le occasioni che arrivano. Ma questa è solo fortuna, bisogna anche essere concentrati e fare sacrifici. A 17 anni ho lasciato tutto perché, a quell’età, se si ha l’opportunità di guadagnare soldi si parte per aiutare la famiglia”.
La voglia di uscire da una situazione difficile è stata l’unica ragione che l’ha portata a seguire questa carriera?
“Sono andato a Piacenza, in Italia, e prendevo il minimo che si potesse guadagnare per l’epoca. Ma era già molto per me. Anche se erano solo mille euro al mese, a casa mia cambiava tutto. Sono andato fin lì per aiutare la mia famiglia”.
Non era quindi questione di avvenire professionale.
“Per questo non mi sono accontentato mai di quello che avevo, ho sempre voluto avere di più. Ho una famiglia grande, tre fratellastri e sorelle più grandi, più una gemella. Cerco di offrire una vita serena a tutti, è una grossa responsabilità. Mi ispiro a mia madre Lizi, morta da qualche anno. Lei è stata la persona più importante della mia vita. Non aveva niente ma ha provato a darmi tutto facendo tantissimi sacrifici”.
È anche impegnato per la lotta all’omofobia, un soggetto che la tocca da vicino:
“Mia sorella gemella è omosessuale. Lei è felicissima così e quindi lo sono anche io. La mia riflessione è semplice: se una persona prova compassione verso un bambino malato, deve ugualmente provarla verso qualcuno che ha fatto una scelta differente senza infastidire nessuno. Il futuro e la felicità di un individuo non possono essere decisi da una terza persona. Io accetto tutti, è la mia visione delle cose”.
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Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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