Prego, si accomodi. La discesa serena e indisturbata con la quale Miguel Veloso, ben lontano dal ricordare Usain Bolt nell'andamento, è giunto al tiro dal limite in occasione del gol del Genoa è un simbolo quanto mai puntuale ed efficace della crisi di piglio, voglia e lucidità che attanaglia oramai da due mesi l'Inter di Pioli. Non è solo un problema tattico, non è soltanto una questione di testa, non ne sono esenti gli uomini della società. Avevamo optato, in tempi recenti, per porre fine all'indagine sulle cause del marasma, ritenendo forse più utile e attuale fornire un ventaglio di ipotesi sulla cura estiva da somministrare a quest'Inter in piena crisi di identità. Perfino questo discorso, però, è da riporre in un cassetto, nell'attesa che la stagione termini e si aprano le danze del rinnovamento. Torniamo, dunque, a chiederci il perché, dal momento che le sventure, che pure si susseguono, son di volta in volta un po' diverse dalle precedenti, se possibile ancor più inquietanti; differente, dunque, potrà essere anche la nostra analisi.
GLI INTOCCABILI - Mentre Veloso ancora passeggia indisturbato sul prato tutto zolle di Marassi, manco fosse stato scassato da un aratro, prima ancora che il portoghese scagli il tiro da cui scaturirà il tap-in vincente di Goran Pandev, fermiamo le immagini e godiamoci il frame. La squadra è sventrata, aperta in mezzo come da un crepaccio: i due mediani, come spesso accade, sono fuori posizione, e ciò appare abbastanza inevitabile se già agli inizi della partita i due hanno la bella idea di uscire entrambi in pressione sul portatore di palla avversario, roba da far rizzare i capelli ai tanti bambini che a scuola calcio hanno imparato come si sta in campo a furia di urlacci e improperi del proprio allenatore. Gagliardini e Kondogbia sono visibilmente in confusione da qualche settimana a questa parte, eppure in mezzo si continua a giocare in due, perfino contro il Napoli quando, perdipiù con Brozovic al posto del francese, anche i cattivi profeti avrebbero predetto l'assoluto strapotere dei tre centrocampisti azzurri. Poi, torniamo indietro e riavvolgiamo le immagini, fino al momento in cui Medel inaugura la sua giornata lasciandosi facilmente sfuggir Simeeone, prima di stenderlo senza la pietà che, in merito, avrà evidentemente guidato le scelte dell'arbitro Damato e dei suoi collaboratori. Anche nel caso del cileno, è palese oramai da mesi la sua sofferenza nella posizione di centrale della difesa a 4: mai sufficientemente basso quando deve abbassarsi, lento e dunque pericoloso nell'alzarsi a fare il fuorigioco, esitante e timoroso nell'1 contro 1, come ricorderà con piacere il buon Khouma El-Babacar. Davanti, Candreva continua a esibire il suo vasto repertorio di cross; peccato, però, che col tempo il romano si sia messo a disegnare traiettorie via via più sbilenche e irritanti, che forse vogliono ben rappresentare la parabola del campionato nerazzurro. E ancora, le ricorrenti insicurezze di Nagatomo, Gabigol condannato a entrare quando il pullman avversario è già bell'e parcheggiato sulla linea di porta, Icardi mai servito e dunque inutile, o forse inutile nei movimenti e dunque mai servito, il cambio del capitano quando occorreva buttarla dentro. Che succede, Pioli?
VERSO L'ANNO CHE VERRÀ - Il tecnico emiliano, insomma, sembra determinato a procedere dritto sul lungo viale dei Cipressi che conduce a fine stagione, senza mai deragliare da convinzioni tecniche e tattiche che -certo- hanno pagato, ma sono poi diventate un limite nel momento in cui questa squadra, delusa e rilassata dopo l'addio al sogno Champions, avrebbe dovuto essere sferzata con nuove direttive, nuove idee, nuovi uomini e una nuova narrazione in cui identificarsi. Eccolo, il viale dei Cipressi, ma non è quello maremmano di Bòlgheri, bellissimo, sempre dritto, lungo 5 km e dolce a Carducci, che l'ha reso celebre nell'ode 'Davanti a San Guido'. Eccolo, invece, il viale dei Cipressi: questo è lungo ancora tre partite, c'è ancora tempo per uscire a vedere cosa c'è fuori, se si volesse, e per dare all'ambiente una scossa, un rinnovato motivo di interesse, un piccolo lumicino di speranza in una stagione che, come il giorno, viene dal buio e al buio ritorna, man mano che si approssima alla fine. E Pioli, evidentemente, è in buona compagnia in questo cammino sordo e un po' autoreferenziale; come altro interpretare, infatti, le dichiarazioni di Ausilio nei vari pre-partita, quasi sovrapponibili nel loro ribadire la fiducia in un progetto forse mai nato, di sicuro morto da tempo? Cos'altro si può fare per salvare la baracca, diranno i diretti interessati. Vero, e le responsabilità che tutti hanno in questo momento non possono negare ai protagonisti il beneficio della prudenza e dell'imbarazzo: nessuno, infatti, lavora per il male per l'Inter, fatti salvi forse quei calciatori oramai turisti a Milano, pronti a detergersi dai guai professionali nella frescura di una piscina sul tetto. Guai, infatti, ad ascoltare i moniti nichilisti di chi vuole fare piazza pulita: non si procede così, dimenticandosi dell'ordine e della meticolosità, unici criteri che distinguano una grande società da un ambiente allo sbando: sarebbe appunto un perseguire nell'errore, un prosieguo della stanca passeggiata in linea retta. "I cipressi che a Bòlgheri alti e schietti / van da San Guido in duplice filar", scriveva Carducci. Da questo duplice filare di esitazioni, insomma, bisogna uscire fin dalla sfida col Sassuolo: occorrono idee audaci, correzioni precise e mirate, l'iniezione di un sano e nuovo spirito di appartenenza a un qualcosa di nuovo e, perché no, qualche accesso d'estro. In attesa del finale, e del nuovo inizio che si prospetta danaroso e rivoluzionario, auspichiamo che si tenti qualcosa di nuovo, qualcosa di bello. Perché persino queste sofferenze possano portare in dote un regalo, un cioccolatino da conservare gelosamente per l'anno che verrà.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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