Anni fa, quando la NBA sbarcò sui canali italiani, fu sportivamente un evento di enormi proporzioni. Ma l’apice la pallacanestro professionistica statunitense lo raggiunse con il commento arguto e intelligente, brioso e pieno di vita, del grande Dan Peterson. Il quale, raccontando il suo sport, faceva notare come il pubblico amasse più supportare la propria franchigia che tifare contro gli avversari. In quest’ottica mi piaceva ascoltare il rumore dei palazzetti stracolmi, palazzetti mediamente da oltre 20 mila persone e sempre sold out. Il coro più diffuso, ovunque, era il famoso de-fense, de-fense.
Pistolotto iniziale a parte, domando scusa per l’excursus cestistico, mi e ci sembra chiaro ed evidente di come il vero problema irrisolto, a tutt’oggi, del nuovo corso manciniano dell’Inter sia il pacchetto arretrato. Senza demonizzare tizio o caio. Senza tirare in ballo paragoni con un recente passato, paragoni che a poco servirebbero: perché se hai la fortuna di poter schierare Samuel in buone condizioni fisiche e nel pieno della maturità affiancandogli il capitano del Brasile che disputa la miglior annata della sua pur ottima carriera, è ovvio che ogni paragone scemi miseramente.
Partiamo da un presupposto. O meglio, partiamo dall’ultima partita giocata, Inter-Celtic. I quattro schierati dietro in partenza, Santon-JJ-Ranocchia-D’Ambrosio, hanno un’età media di 25 anni. Esatto, 25 anni. E chi conosce bene il calcio sa che stiamo parlando di un’età media bassa per un pacchetto difensivo. La conseguenza è l’insicurezza, l’errore (spesso orrore) nascosto dietro l’angolo, l’incapacità di gestire con la tranquillità che deriva dall’esperienza le situazioni per così dire scabrose.
Oh, attenzione, la mia non vuole né intende essere una difesa d’ufficio; credo di aver detto le peggio cose mentre guardavo le partite io che tutti quanti Voi messi insieme. E, inoltre, i nostri interpreti del ruolo possono giustamente vantare una grande squadra di avvocati difensori sia in Società che nello staff tecnico.
Semmai mi limito a osservazioni che possono lasciare il tempo che trovano, ma che sono le domande più ricorrenti dei tifosi preoccupati da una situazione strana, alla quale spesso e volentieri non sappiamo dare una risposta. Perché se è vero, e lo è, che l’età media bassa può essere una spiegazione, non lo sono gli atteggiamenti in campo; i tempi di anticipo sbagliati, gli sbandamenti innaturali, le dimenticanze che a certi livelli non sono ammissibili. Eppure non credo che il problema sia insormontabile, così come non credo che i Ranocchia e i JJ (sempre loro sul tavolo degli imputati) siano delle bufale a livello calcistico. Anzi. Il primo gioca nella Nazionale di Antonio Conte, il secondo è stato chiamato di recente con la Seleçao gialloverde. Dove, va detto per onestà intellettuale e non solo, viene dirottato sulla fascia sinistra. Esperimento che mi piacerebbe tanto poter vedere anche nell’Inter.
D’Ambrosio e Santon non appartengono alla sfera delle problematiche di Roberto Mancini. Il primo gode di ampia considerazione da parte del mister jesino, il secondo sta dimostrando coi fatti, sul campo, quanto l’esilio dorato in quel di Newcastle gli abbia giovato e sotto l’aspetto tecnico-tattico e, soprattutto, di crescita caratteriale; trasformando il ragazzino che ci ricordavamo in un uomo. Un calciatore. Un professionista a tutto tondo. Sono semmai i ricambi dei due succitati a preoccupare, sportivamente parlando, il Mancio. Ecco perché la mia idea, non soltanto mia per fortuna ma di molti addetti ai lavori, è che la Società si muoverà nel prossimo mercato in ottica esterni bassi. Possibilmente affidabili.
Ma torniamo alla croce del popolo nerazzurro. I centrali. È innegabile che Vidic, uomo mercato della scorsa estate, abbia reso probabilmente meno di quanto si sperasse e ci si aspettasse. Per una lunga serie di motivi. Che vanno dagli infortuni, e qui nessuno può farci nulla, a una collocazione tattica sbagliata, perlomeno all’inizio. La difesa a tre, modulo che proprio non digerisco (sarò antiquato ma continuo a ritenere i quattro dietro il miglior modello possibile, a meno che tu non possa schierare dei fenomeni in mezzo e degli esterni ampiamente sopra la media) non la impari in un mese di preparazione (sbagliata) estiva, soprattutto se provieni da sedici anni di professionismo dove hai sempre e perennemente giocato in una sola maniera. Inoltre, sebbene oggi come oggi il campionato italiano abbia rapidamente scalato le classifiche europee al contrario, perdendo carisma e appeal per la mancanza vera o presunta di stelle di prima grandezza, resta comunque innegabilmente il torneo più complicato a livello tattico del vecchio continente.
Gli allenatori indigeni, fenomeni a parte, vengono ritenuti a ragione i più preparati da questo punto di vista. Da sempre, nel Bel Paese, vige la regola non scritta del primo non prenderle. Da Rocco a Trapattoni, da Capello ad Ancelotti. Perfino guru della panchina, resto in casa nostra, quali Herrera e Mou si sono adattati alla bisogna. Perché in Italia, nel novantanove per cento dei casi, vince la squadra che subisce meno gol, non quella che ne segna di più. E Nemanja sta facendo una gran fatica a entrare in questo schema di pensiero.
Andreolli ha pian piano, senza nemmeno sgomitare più di tanto, conquistato un posto da titolare prima dell’infortunio. E, detto fra noi, è colui che nel pacchetto arretrato offre le maggiori garanzie attualmente. Marco ha dalla sua l’età (28), la capacità di poter giostrare, pur essendo destrorso, indifferentemente a destra o a sinistra e gioca con la consapevolezza nei propri mezzi. Senza voler strafare, ma facendo bene quello che sa. Strana la vita: Mancini diede il suo assenso alla cessione del ragazzo nell’estate del 2007, Mancini otto anni dopo lo ripropone titolare.
L’Inter, comunque, si sta guardando intorno. Alla ricerca dei nuovi Samuel e Lucio. Degli eredi di Ferri e Bergomi. Acquistato Murillo il sogno mica tanto segreto è Aleksandar Dragovic, ventitreenne austriaco di origini serbe, fortissimo di testa, capace di usare entrambi i piedi, leader vero già in così giovane età. Stravedo per questo ragazzo. E, dicono coloro che ne sanno parecchio, stravede per lui anche Roberto Mancini. Che, detto per inciso, lo avrebbe voluto già nello scorso mercato di gennaio. Però…
C’è un però; è giovane, come detto. Stessa età di JJ. Caratterialmente diverso, uno brasiliano l’altro austriaco, va maneggiato con cura nell’eventualità di un suo approdo in maglia nerazzurra onde evitare di bruciarlo o, peggio ancora, di bollarlo come poco capace. Che poi, in fondo, è ciò che sta accadendo con lo stesso JJ e con Ranocchia. Patrimonio della Società Inter e di noi tifosi. Che siamo tra i più caldi al mondo, che amiamo i nostri colori al di là di tutto e di tutti, che abbiamo goduto e sofferto come nessun’altra tifoseria. Ma che, a volte, proprio per l’immenso amore che nutriamo per il nerazzurro, ci dimentichiamo di quanto sia pesante la maglia che i nostri ragazzi portano sulle spalle. E li fischiamo, invece di incitarli. Ecco, evitiamolo. Anche se io per primo mi rendo conto di quanto questo sia un discorso teorico, perché nel pathos della partita l’irrazionalità prende sempre il sopravvento. Ma se davvero vogliamo bene alla nostra squadra, beh… stiamole vicino. Soprattutto quando le combinano grosse.
Amatela. Sempre.
E buona domenica a Voi.
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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