La notizia del “passaggio di consegne” – seppur non totalmente – delle quote societarie del club nerazzurro all’indonesiano Erick Thohir ha fatto, ovviamente, il giro del mondo.
Ogni persona addetta ai lavori ha espresso la propria opinione, sono stati chiamati in causa calciatori della nostra Inter, altri che hanno "appeso le scarpette al chiodo", giocatori di altre squadre, dirigenti, allenatori, presidenti, procuratori, un “popolo” di persone che con il calcio ha (oppure avuto), chi più chi meno, a che fare.
Ma la domanda è: riusciremo noi tifosi interisti a trasmettere al nuovo proprietario l’Interismo che solo noi abbiamo? Quel sentimento che cresce con il tempo, si rafforza, talvolta vacilla, ma rimane sempre dentro noi?
Carissimi tifosi e fratelli interisti, dovremo cercare di far capire ad Erick – chiamiamolo tranquillamente anche solo per nome, perché lui deve sapere e capire che ormai è uno di noi – cosa vuol dire vincere una Coppa Italia (quella datata 04/05) dopo anni di insuccessi - magari penserà “Cos’è questa coppetta?” - che per noi è stato l’inizio di tutto, cosa vuol dire sentirsi derubati da tutto, per anni, cosa vuol dire – nei nostri anni d’oro, per usare un eufemismo – vedere squadre piccole piccole piccole venire al Meazza, passeggiare e portare a casa i 3 punti in palio, cosa vuol dire esaltarsi per un acquisto strepitoso, cosa vuol dire sentirsi deluso da questo stesso giocatore, cosa vuol dire amarne un altro, che magari non é neanche il più forte, ma lo ami semplicemente perché in campo “ci mette l’anima”, cosa vuol dire mettere una mano sulla spalla di un “fratello interista”, deluso come te dopo una sconfitta, per consolarlo, cosa vuol dire abbracciarlo, non sapendo nemmeno come si chiami essendo un perfetto sconosciuto per te, per un gol al 90’, quando ormai “non ci speravi più”.
Cosa vuol dire scendere le gradinate di San Siro dopo un derby perso, accettando in silenzio gli sfottò dei “cugini”, cosa vuol dire – durante un Inter-Cagliari 08-09, in mezzo ad un freddo che definire “glaciale” è poco – esultare come un matto correndo in fondo al primo anello verde, quasi come per voler abbracciare Julio Cesar a pochi metri da te per un gol di Amantino Mancini, per poi vederselo annullare per fuorigioco, tornare al proprio seggiolino e tirare una manata di nervosismo alla parete di plasticaccia dura alla tua sinistra, dimenticandoti che “fa molto freddo” e la tua mano potrebbe risentirne.
Cosa vuol dire imparare a memoria C’è solo l’Inter ancora prima di sentirla per la prima volta, esaltarsi per le note di Pazza Inter, innamorandotene follemente. Cosa vuol dire gridare a squarciagola il nome dei tuoi idoli al momento dell’annuncio delle formazioni, da parte dello speaker ufficiale, voce che ormai conosci e ricordi anche meglio di quella di tua mamma.
Cosa vuol dire, caro Erick, tener duro quando “gli altri vincono e tu no”, cosa vuol dire guardare un match a casa, al tuo solito posto, con il telecomando sempre nella stessa posizione, con la poltrona proprio in quel punto, perché la scaramanzia, si sa, non è mai troppa. Cosa vuol dire prendere la macchina e catapultarsi in piazza per i caroselli, cosa vuol dire vedere Materazzi che esce – espulso – durante un derby facendo “quattro” con la mano, ricordano che, cari rossoneri, “ora saremo anche in dieci, ma siamo ancora sopra”.
Cosa vuol dire sentire la maglia nerazzurra come una seconda pelle, cosa vuol dire – quando sei ancora piccolo – aver paura di entrare nell’aula della tua cara quinta elementare, il giorno 06.05.02, perché… non c’è bisogno di ricordarlo. Cosa vuol dire perdere un derby 6-0, cosa vuol dire arrabbiarti per averne vinto uno 4-0, perché? “perché dovevamo dargliene di più!”.
Cosa vuol dire toccare la tua prima maglia dell’Inter che hai avuto quando eri ancora un bimbo, toccarla, vederla così piccola ed emozionarti, pensando sembra ieri.
Cosa vuol dire essere tristi durante la sosta per le nazionali, perché non gioca la tua Inter, cosa vuol dire aspettare all’ingresso della Pinetina l’uscita dei giocatori, magari in un grigio e gelato martedì mattina di un freddo dicembre qualsiasi, per poi magari vederli sfrecciare senza aver ricevuto nemmeno un saluto; ma non ti arrabbi, accetti semplicemente perché ami l’Inter “e chi se ne frega…”.
Fare la coda fuori dalla banca, presentandosi all’ingresso magari 3 ore prima dell’apertura, perché quella partita “non voglio perdermela”.
Cosa vuol dire, caro Erick, avere come suoneria delle chiamate un coro della Nord, come sveglia Pazza Inter e come avviso-messaggio l’esultanza di Roberto Scarpini, dopo un gol di Recoba allo scadere dopo una rimonta epica contro la Samp.
Cosa vuol dire emozionarsi dopo il fischio finale dell’arbitro De Bleeckere che ha finalmente decretato la fine di quell’indimenticabile Barcellona-Inter che sembrava interminabile.
Cosa vuol dire, semplicemente – quel 22 maggio 2010 – averla vinta e sentirla lì accanto a te, seppur ti trovassi a 5 mila km di distanza.
Caro Erick, ti diamo il benvenuto nella FAMIGLIA INTERISTA, e ormai ti conosciamo: sei ambizioso, vuoi rilanciare l’Inter, vuoi vincere, investire, vuoi appassionarti, e noi con te.
Vieni da tanto lontano, ma siamo sicuri che in poco tempo tu apprezzerai, imparerai e capirai tutto quello che noi interisti abbiamo provato e proviamo, e non vediamo l’ora di vederti arrabbiato per qualche gol sbagliato e, soprattutto, emozionato per qualche nostra grande vittoria, ovviamente con i colori nerazzurri.
Benvenuto, caro Erick.
Francesco Fontana
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