Alla perenne ricerca di alibi si finisce nel pantano della mediocrità. Perche il continuo accusare gli arbitri di aver preso decisioni sbagliate, lamentarsi di quel rigore piuttosto che di quell'espulsione è un ritornello stonato e fiacco che da troppo tempo accompagna l'incompiuta sinfonia nerazzurra.
Roberto Mancini è senza dubbio il miglior allenatore che il club si possa permettere per una serie ragionevole di motivi: caratura internazionale, esperienza, carisma. Sarebbe difficile, forse impossibile, trovare di meglio sulla piazza. Terminato e fallito il tempo dei Gasperini e degli Stramaccioni, accertato che un Guardiola o un Ancelotti la panchina nerazzurra non la guarderebbero nemmeno col binocolo, invocare l'allontanamento del tecnico di Jesi è follia nella follia per il semplice fatto che in questo momento storico alla Pinetina non potrebbe mai arrivare un deus ex machina dotato di bacchetta magica. E azzardare puntando sul Sarri di turno che viene da belle stagioni e gioco frizzante mostrato in provincia è un lusso che Thohir e soci non si possono permettere.
Nonostante ciò, le colpe del Mancio non si contano più. A inizio stagione la sua creatura vinceva ma non convinceva, era primo in classifica e, al di là delle giuste critiche degli esteti del gioco, quando porti a casa i tre punti rendi tutti felici e contenti. E non mancavano nemmeno validi motivi per essere ottimisti. Perchè, si diceva, la squadra è stata rinnovata molto, i giocatori hanno bisogno di tempo e anche il gioco arriverà. La qualità di gente come Jovetic, Ljajic, Kondogbia, Perisic e Brozovic lasciava lecitamente spazio al pensiero stupendo che l'Inter potesse, piano piano, prendere la forma di una bella principessa capace di piacere oltre che di vincere. Il cinismo, la solidità difensiva e la mentalità che permetteva di ottenere quei famosi 1-0 erano carattersitiche importanti e positive, specie per una squadra che fino alla stagione precedente mostrava lacune imbarazzanti e prendeva gol ad ogni respiro degli attaccanti avversari.
Con il passare del tempo l'Inter si è trasformata sì, ma nella bella addormentata. Da quella sconfitta inaspettata contro la Lazio a San Siro prima di Natale la banda Mancini ha iniziato un lento e inesorabile processo di sgretolamento, come se il suo maestro fosse rimasto inerme con la creta in mano senza più l'idea di quale forma dare alla propria opera. Peggio di Penelope che disfa di notte la tela prodotta di giorno, i nerazzurri hanno iniziato a perdere punti ma soprattutto certezze settimana dopo settimana seguendo una tendenza al disfattismo e al masochismo degni delle peggiori annate. Non solo non si sono visti quei progressi che era lecito attendersi, non solo non si è mai vista una precisa idea di gioco, non solo non si è riusciti mai ad avere una formazione e un modulo di riferimento ma addirittura si sono perse quelle caratteristiche positive che a inizio stagione avevano portato l'Inter davanti a tutti, seppur in maniera inaspettata e non del tutto meritata dal punto di vista tecnico. La difesa è tornata ad assomigliare al Titanic dopo lo scontro con l'iceberg, la compattezza della squadra è andata a farsi benedire così come la caparbietà e la capacità di portare a casa le partite anche soffrendo: gol regalati, errori da dilettanti, assenza totale di mentalità, incapacità di chiudere le gare, concretezza e senso del gol scomparsi dai radar. Punti buttatti al vento oltre il 90' contro Lazio, Sassuolo, Carpi e Fiorentina, prestazioni inconsistenti come a Bergamo ed Empoli, per non parlare delle tre sberle ricevute prima dalla Juve e poi dal Milan (ma persino dal Verona ultimo in classifica) a distanza di pochi giorni che sono semplicemente inaccettabili al di là di ogni ragionevole dubbio e di ogni più sfortunato episodio.
Per questo continuare, oggi, a recriminare sugli arbitri rischia di suonare come un disco rotto. Perché per troppe settimane Mancini si è presentato davanti a telecamere e microfoni attaccando senza misura le decisioni dei fischietti. In questo modo si è fornito un alibi imperdonabile ai giocatori: dopo la gara contro il Sassuolo (non solo non vinta, ma addirittura persa in quel modo) attaccarsi alla mancata espulsione di Berardi ha fornito una insperata giustificazione a una squadra che non ha saputo buttarla dentro e soprattutto ha regalato un rigore in pieno recupero. Una squadra che, dunque, andava strigliata e messa di fronte alle proprie responsabilità in quella come in tante altre occasioni. E che invece se l'è cavata alla stessa maniera di una scolaresca che non ha studiato per il compito e si ritrova il professore assente per malattia.
Facciamo un paragone: dopo aver perso proprio contro la squadra di Di Francesco, il capitano della Juventus Gigi Buffon si presentò in zona mista facendo un pesante mea culpa: "Siamo stati indegni". Mica rivendicando la mancata espulsione di Berardi. E' in questo modo che si forma o no la mentalità da squadra vincente, anzi di più, che si plasma nella testa e nel cuore la mentalità da grande squadra. Perché se sei l'Inter, così come se sei la Juve, contro il Sassuolo non puoi perdere. Se lo fai ti devi vergognare. O per lo meno non cercare giustifcazioni per quanto la squadra possa aver giocato bene e subito una beffa clamorosa.
Troppe volte non si è parlato delle cose veramente importanti: gioco, formazione, errori individuali, mentalità, grinta. Fare autocritica e pensare ai propri sbagli anzichè a quelli degli altri è il modo migliore e più efficace per ripartire, per fare tesoro delle sconfitte e capire il peso e il valore della maglia che si porta. Cercare alibi è da deboli, oltre che da perdenti. Allo stesso modo se vai a Firenze e fai un solo tiro in porta, a voglia poi a prendersela con il signor Mazzoleni che, certo, non ha diretto bene ma ha combinato un disastro dopo l'altro. Facciamo un altro paragone richiamando proprio quell'Inghilterra tanto cara a mister Mancini: dopo aver visto il suo Leicester subire la rimonta dell'Arsenal in pieno recupero dopo qualche decisione arbitrale dubbia, quel Claudio Ranieri bistrattato non solo alla Pinetina ha commentato: "Non sono d'accordo con l'espulsione di Simpson ma compliemnti all'Arsenal, sono stati più furbi di noi ed è stata una partita fantastica". Eleganza e sportività in una sola frase.
Continuare invece a vedere fantasmi arbitrali e infondere questa convinzione nei giocatori e nei tifosi porta con sè un paio di anomalie: primo, se pensassimo davvero che ci sia intenzionalità nel favorire o danneggiare qualcuno allora dovremmo tutti dedicarci a un altro sport. Se amiamo e seguiamo il calcio dobbiamo imparare ad accettare in maniera più serena i fischi dei direttori di gara, pur sempre nel limite delle sacrosante "incazzature", si perdoni il francesismo, quando un episodio finisce per essere decisivo a svantaggio della propria squadra. Ma in fin dei conti deve essere proprio la squadra a saper fare qualcosa di decisivo e l'Inter delle ultime settimane di decisivo ha commesso solo molti e imperdonabili errori. Secondo, nella testa dei giocatori deve scattare la convinzione di dover essere loro stessi a determinare il destino di un risultato riuscendo persino ad essere più forti di eventuali, e non prevedibili, errori arbitrali.
I problemi dell'Inter sono molteplici partendo dal fatto di non avere una formazione standard: se a inizio stagione la capacità di Mancini di stravolgere l'11 iniziale ad ogni partita poteva essere un trasformismo appagante e strategico in grado si sorprendere l'avversario e tirare fuori il meglio da ogni componente della rosa, a febbraio questo stesso atteggiamento appare come confusione tattica e incapacità di dare un'identità a un'Inter che ha nei soli Handanovic, Miranda e Murillo dei sicuri titolari. Tutto il resto è ogni domenica un azzardo, un esperimento, un tentativo e, visti i recenti risultati, un tentativo a vuoto. Per di più, giocatori che si fanno espellere a gara terminata (vedi Kondogbia a Firenze) o con falli inutili e assurdi (Nagatomo e Melo in altre occasioni) rendono lampante la mancanza di mentalità e lucidità. L'Inter attuale è la più "cattiva" degli ultimi 20 anni: nemmeno nel 2010, guidati e spinti dal dogma mourinhano del "noi contro tutto e tutti", i nerazzurri avevano collezionato così tanti cartellini rossi. Sempre e solo colpa degli arbitri?
Per il bene e di una stagione che non ha ancora visto sfumare tutti gli obiettivi, l'Inter e il suo allenatore farebbero bene a smettere di nascondersi dietro alibi travestiti da arbitri cattivi e sfortuna. Prima si capisce che il problema non sta (solo) lì e prima si può ancora tentare di dare una forma e un senso a un personaggio in cerca d'autore, a un'opera incompiuta in attesa della miglior ispirazione del suo unico possibile artefice.
Giulia Bassi
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