Venti giugno 2019. L’Inter si sta ancora godendo l’odore di nuovo che la sede di Viale della Liberazione emana. Sì, perché la società nerazzurra è ormai proiettata al futuro e i palazzi dell’aristocratico Vittorio Emanuele sanno di un “Ancien Régime” al quale ormai l’Inter non appartiene più. L’iper tecnologico e avanguardista arredamento della nuova sede nerazzurra inaugurata meno di una settimana fa, incorniciata tra i grattacieli di Porta Nuova, sono solo sfumature di un futurismo al quale Mister Zhang & Co. sono proiettati. Il futuro è adesso e mai come ora la rottura con il passato è tangibile in tutti i suoi aspetti.
Antonio Conte sulla panchina nerazzurra è un ulteriore emblema di cambio di regime che la dice lunga sulle ambizioni del club anche, anzi soprattutto, in termini di risultati sul campo. Tuttavia se c’è una cosa che all’interista non si può strappare è quel non so che di romantico e nostalgico che al passato, vuoi o non vuoi, volgerà sempre lo sguardo. D’altronde la forza del Biscione sta proprio nella storia che quel passato racconta, un blasone che senza quel passato non sarebbe tale. E mentre oggi l’Inter si appresta a costruire un futuro degno di quel blasone e di quel passato, mentre si attende il primo vero grande colpo di Beppe Marotta dal suo insediamento in nerazzurro, gli interisti si incastonano tra domani e ieri. A metà tra speranze future e malinconie passate. Mentre si scalpita aggiornando le app alla ricerca del nome altisonante che possa sancire l’inizio dell’Inter del domani, sbuca tra i ricordi quello che nella storia nerazzurra resta a oggi il più altisonante e clamoroso dei nomi.
Accadeva ventidue anni fa, il 20 giugno 1997. L’allora presidente Massimo Moratti acquistava dal Barcellona quell’uomo qualunque chiamato Ronaldo Luís Nazário de Lima, versando nelle casse blaugrana 48 miliardi di lire, più i 6 miliardi d’ingaggio che avrebbe pagato al brasiliano per cinque anni. Mentre la Gazzetta dello Sport la mattina del 21 giugno esordiva con “Inter al sicuro! Ronaldo è suo”, Ronie dalla Bolivia, dove giocava la Copa America con i verdeoro, pronunciava delle parole rivelatesi poi quasi maledette. “Vengo a vincere lo scudetto”, trofeo che mai riuscì a sollevare e che, al contrario, divenne quasi un tabù. La storia non rese giustizia a quel fenomenale brasiliano dalla capoccia lucida e i piedi d’oro, quantomeno all’Inter dove Moratti, suo primo grande fan, non riuscì mai a ricevere da lui il regalo che avrebbe voluto né ricambiato quello stesso sentimento che aveva investito. Ricoperto d’allori come fosse un Dio, come venne ritratto quasi in maniera blasfema in quella campagna Pirelli - main sponsor nerazzurro - rimasta emblema di quella che fu l’epoca Ronaldo, il Fenomeno scappò a Madrid solo quattro anni dopo. Tra le lacrime dei nerazzurri attoniti quel 31 agosto dello stesso anno in cui a Rama gli interisti avevano pianto l’ultima delle incompiutezze di quel fenomeno rivelatosi, come Achille, un semidio crollato ancor prima di conquistare Troia.
E allora forse, proprio oggi, ventidue anni dopo l’arrivo di quello che avrebbe dovuto riportare lo scudetto in casa Inter, chissà che mettersi alle spalle il passato non significhi proprio ripescarne un pezzo per chiudere un cerchio rimasto aperto un lontano 26 aprile di tanti anni fa, quando ad alzare virtualmente quel trofeo fu un certo Conte, l’acerrimo rivale che di quel dio ne rivelò la sembianza più dell’essenza. Quello stesso rivale che oggi s’appresta ad essere il più fidato degli alleati per il presente e per il futuro nerazzurro.
Egle Patanè
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Autore: Redazione FcInterNews.it / Twitter: @Fcinternewsit
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