Chiusa la finestra sulla Champions League, tra rimpianti ingiustificati e il solito stupore italico nel constatare che a certe latitudini calcistiche da marzo in poi si pratica un altro sport, la Serie A stasera si potrà consolare con l’Europa League, dove Milan e Roma daranno vita a un derby fratricida mentre l’Atalanta si misurerà con il mostro finale della competizione, il Liverpool di Jurgen Klopp, primo in Premier League assieme all’Arsenal, a +1 sul Manchester City. Senza dimenticare la Fiorentina, il cui obiettivo è tornare a giocarsi la finale di Conference League.

In Coppa non c’è più l’Inter, vice-campione d'Europa l’anno scorso e portabandiera del calcio nostrano, uscita agli ottavi di finale di Champions per mano dell’Atletico Madrid dopo la lotteria dei rigori. Un’eliminazione dolorosa, per ammissione degli stessi protagonisti, che qualcuno ha provato a usare per ridimensionare una stagione praticamente irripetibile tra i confini nazionali. Bastano alcuni numeri per dare la giusta prospettiva: 82 punti in 31 giornate (meglio solo la Juve 2018-19), goleade e clean sheet che portano a una differenza reti come non si vedeva da più di 50 anni in Italia, il dato di vittorie più alto nei top 5 campionati del vecchio continente ecc ecc... Insomma, una monarchia assoluta instaurata nel torneo tanto da costringere le altre candidate al trono ad arrendersi ben prima della linea del traguardo. Il Milan si è tirato fuori dalla corsa praticamente a novembre, la Juve ufficialmente dopo il derby d’Italia di ritorno che l’ha fatta sprofondare in uno stato di depressione talmente forte da accusare 20 punti di distacco. Il Napoli, che si è autosabotato in estate dopo lo storico titolo dell’anno prima, ha perso la corona matematicamente dopo 28 turni, otto giorni prima di andare a San Siro per consegnare metaforicamente il testimone all’Inter, la squadra che ha rovesciato l’Ancien Régime con una rivoluzione impetuosa. Prima ancora di ribaltare il sistema precostituito, l’Inter, facendo tesoro degli errori commessi nel campionato precedente, è partita a luglio senza nascondersi, dichiarando pubblicamente l’obiettivo della seconda stella come prioritario. Un dettaglio che si è un po’ perso tra le confuse maglie del mercato, quando critica e tifosi si affannavano a capire se la squadra fosse migliorata o meno dopo gli addii di tre big. Quesito che oggi ha perso di valore, anche perché alla fine della fiera contano i trofei e il più importante tra quelli raggiungibili sta per arrivare. Inzaghi ha tracciato la strada, appoggiato sin dall’inizio da Zhang e dalla dirigenza, facendo turnover nel girone di Champions per collezionare punti su punti in Italia. La scelta, alla fine, ha pagato perché non si può realisticamente pensare di poter vincere tutto. Istanbul, non a caso, era arrivata grazie al ‘disimpegno’ in campionato, un ragionamento ribaltato in un certo senso quest’anno in funzione di qualcosa di storico. Inutile, quindi, rimuginare per l’uscita di scena dall'Europa pensando che il vantaggio oceanico sulle inseguitrici in Italia sarebbe bastato per bissare il percorso di un anno fa. Una volta compreso che non si può trasferire la superiorità da una competizione all’altra, va ricercato il motivo per cui l’Inter è stata talmente più forte delle altre in Serie A, mentre in Champions è arrivata seconda in un girone vinto dalla Real Sociedad. Tutto si riconduce sempre al gioco, che nel caso dell’Inter è relazionale: la squadra di Inzaghi si muove come nessun’altra senza palla, con gli interpreti che si interscambiano le posizioni, una qualità che ha fatto saltare il bianco in un campionato che ha sempre esaltato il tatticismo. Una squadra aliena rispetto alle avversarie, una squadra per cui sono finiti gli aggettivi. E per cui bisogna rispolverare un vecchio soprannome, aggiornandolo un po’: l’Inter dei Record². L’Inter capace di battere record su record, di elevarli al quadrato. Alla seconda… stella.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 11 aprile 2024 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
vedi letture
Print