Zero prove, zero squalifica. È questa, in estrema sintesi, la motivazione che ha spinto il Giudice Sportivo Gerardo Mastrandea ad assolvere Francesco Acerbi dopo l'analisi portata avanti negli scorsi giorni dalla Procura FIGC, capitanata da Giuseppe Chinè. Il difensore dell'Inter rischiava 10 (o più) giornate di squalifica per le presunte offese a sfondo razziale nei confronti di Juan Jesus durante l'ultimo Inter-Napoli, giocato a San Siro e macchiato dal triste episodio che ha accompagnato - purtroppo - gran parte della sosta Nazionali. 

Partiamo da un concetto chiave: il razzismo va condannato sempre e comunque, senza distinzioni. Ogni singolo episodio non va mai minimizzato e non si deve mai parlare di eccessiva strumentalizzazione riguardo un problema che da un campo da calcio, con troppa facilità, si riversa quotidianamente sulla società. Ecco perché Acerbi sarebbe dovuto essere - giustamente - punito e sanzionato in caso di prove certe di offese razziste al brasiliano. In caso di prove certe, appunto, che in questo caso però non ci sono: nessun video, nessun labiale, nessun audio e nessun testimone hanno potuto confermare l'offesa "vai via nero, sei solo un negro" che Juan Jesus aveva sbandierato pubblicamente in un post su Instagram. E che, se dimostrata, avrebbe meritato una severa punizione. Senza prove, però, ci si trova semplicemente davanti alla parola dell'uno contro la parola dell'altro.

In questa brutta storia ognuno può credere alla versione che vuole e avere la sua idea sull'accaduto. Tutti, ma non un Giudice che per condannare ha bisogno di prove, nella società civile come nello sport. Ieri la decisione è stata di decretare l'assoluzione (che non è sinonimo di 'innocenza', giusto per chiarire) nei confronti di Acerbi per mancanza di prove, come sottolineato in un passaggio del comunicato: "Rilevato, altresì, che la condotta discriminatoria, per la sua intrinseca gravità e intollerabilità, perdipiù quando riferita alla razza, al colore della pelle o alla religione della persona, deve essere sanzionata con la massima severità a norma del Codice di giustizia sportiva e delle norme internazionali sportive, ma occorre nondimeno, e a fortiori, che l’irrogazione di sanzioni così gravose sia corrispondentemente assistita da un benché minimo corredo probatorio, o quanto meno da indizi gravi, precisi e concordanti in modo da raggiungere al riguardo una ragionevole certezza (cfr. per tutte Corte federale d’appello, SS.UU., 11 maggio 2021, n. 105)".

C'è chi grida allo scandalo per la mancata squalifica, ma se questa fosse arrivata con assenza di prove si sarebbe creato un precedente pericoloso: da quell'Inter-Napoli in poi, chiunque, ad esempio, avrebbe potuto accusare un qualsiasi avversario di razzismo, portandolo alla squalifica anche senza certezze oggettive di quanto accaduto. Con delle prove a sostegno dell'accusa di Juan Jesus - e questo va ribadito - Acerbi avrebbe meritato la lunga squalifica e tutte le conseguenze del caso.

La verità di quanto successo al 13' del secondo tempo di quell'Inter-Napoli, in attesa di eventuali prove ed ammissioni che - magari - arriveranno in futuro, per ora è una roba per due: Acerbi e Juan Jesus. Solo loro sanno cosa è successo realmente. Solo loro sanno chi ha la coscienza a posto, chi mente o se davvero c'è stato un fraintendimento. Per chi guarda da fuori non si tratta di andare dalla parte dell'uno o dell'altro, ma di stare tutti dalla stessa: contro il razzismo.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 27 marzo 2024 alle 00:00
Autore: Stefano Bertocchi / Twitter: @stebertz8
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