Difficile stabilire cosa sarebbe accaduto di Napoli-Inter se, nel primo tempo della partita più attesa di questa parte di stagione, non si fossero materializzati due enormi punti esclamativi all'inizio e alla fine e altri due al novantesimo. Non si tratta del risultato finale, perché questo è un ragionamento che prescinde dall’effettiva qualità del Napoli, della miglior disponibilità al palleggio, della straordinaria capacità di Sarri nell’organizzare il gioco. Posto che a queste indiscutibili qualità si è contrapposta una bella Inter, piena di risorse, capace con un gioco diverso e organizzato di mettere in crisi il Napoli nonostante l’inferiorità numerica.
Considerando perciò che l’argomento “vittoria del Napoli” è uno tsunami rigonfio di retorica, ebbro del consueto populismo che esalta “il riscatto di una città difficile”, che premia il bla bla del gioco che fa innamorare, non è impossibile contrapporre delle argomentazioni contrarie al risultato. E’ difficile sapere che partita sarebbe stata se, un minuto dopo il fischio d’inizio, la difesa non avesse regalato un gol allo straripante Higuain. Fa parte del gioco ma condiziona l’esito di qualunque partita, a maggior ragione in un match tanto equilibrato, prendere un gol dopo un solo minuto.
In realtà l’evento che ha tracciato il vero solco tra la reale forza delle due squadre e il punteggio che ha premiato gli azzurri, è stata l’espulsione di Nagatomo, per somma di due ammonizioni discutibili. Non si tratta di un espulsione di un giocatore falloso, nervoso o graziato per i ripetuti interventi scorretti. Orsato lo ha comunque punito con due ammonizioni per due falli. La prima è il risultato di un lazzo da morituro di Callejon, una scenata che ha partorito una sanzione a richiesta popolare. La seconda è una valutazione grave che ha pesato enormemente sull’economia della partita.
Il Napoli ha poi trovato il secondo gol, ancora con Higuain e da quel momento l’Inter è inesorabilmente salita in cattedra con i movimenti giusti a centrocampo, qualche piccola fiammata e la predisposizione alla battaglia. Il gol di Ljajic, per quanto improvviso, è stato il premio a una squadra che era rimasta in partita. Alla fine i due pali sono stati una beffa che ha martirizzato l’Inter e, insieme, le ha donato consapevolezza per il resto del campionato.
Lo sviluppo degli avvenimenti, l’andamento pirotecnico, le decisioni arbitrali, il gioco delle due squadre ha prodotto un paradosso: tanti elementi che non spostano di un millimetro il curriculum e la fama di due squadre costruite tanto diversamente. Il fatto è che il Napoli, allenatore a parte, è al compimento di un progetto che sta culminando con una stagione che la vedrà protagonista fino al termine, l’Inter è al primo anno di un progetto che è nato da una rivoluzione incompresa e che, faticosamente, riesce a trovare sponde, solo grazie ai risultati. L’esempio più emblematico è stato proprio questa sera con l’Inter che, nel primo tempo, ha lasciato un po’ più campo al Napoli, più possesso palla ma disinnescando la sua rapidità. Handanovic di fatto inoperoso ma questo non significa che i partenopei non abbiano comunque fatto paura e non abbiano creato pericoli. Nel secondo tempo sarebbe stato bello vedere due squadre che ripartivano dall’1-0 in parità numerica, L’Inter ha comunque iniziato a ridisegnarsi e ha creato calcio con la sua organizzazione di gioco, invisibile agli occhi degli osservatori.
La prossima partita col Genoa non è banale. Primo perché Gasperini ormai vive uno stato da trance agonistica prolungata appena vede il nerazzurro, una sorta di secondo derby che vive ricordando, a colpi di interviste risentite, i tempi in cui non venne capito all’Inter. Soprattutto non è banale perché è la partita che l’Inter deve vincere per giustificare le ambizioni di un grande obiettivo. Le sconfitte, anche se ingiuste come quella col Napoli, non fanno mai bene.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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