Queste robe sono molto, molto da Inter. Che il nuovo si consacri al cospetto del vecchio, mentre dall’alto quasi lo benedice, accade spesso, fa parte della vita e dei suoi cicli. Qui, però, ci piacciono le questioni di identità, le genealogie. Icardi fa tre gol nel derby di Milano sotto gli occhi di Milito, l’ultimo a compiere un’opera d’arte di questo genere. Insieme al Principe, in tribuna, Cambiasso, Samuel e, più in là, Zanetti. I leader. Quei leader, l’anima argentina di un’Inter stratosferica, uomini che erano tutti capitani, anche se la fascia la portava uno soltanto. Icardi strappa la palla a Biglia e si prepara praticamente da solo il terreno per il gol del raddoppio, con una caparbietà che avrà certamente inorgoglito El Tractor. Si è caricato addosso la squadra nel momento più duro, quando il Milan aveva trovato il pari al termine di un assedio sconcertante nel primo quarto della ripresa, e i nerazzurri sembravano a un passo dal naufragio. Che fosse un centravanti stellare, lo sapevamo già, ma forse non tutti; che si sia parzialmente reso disponibile a un tipo di lavoro collaborativo nei confronti della manovra, si era intravisto nelle ultime uscite, quando invece in molti hanno pensato bene di sottolineare un improvviso appanarsi della sua vena realizzativa. Ieri sera, però, Icardi è diventato il Capitano.
KRIMINAL TANGO - La caparbietà dell'argentino, da cui nasce la seconda rete, è emblematica a questo riguardo. Non c’è più traccia di timidezza e di quell’egoismo che per il centravanti è un plus, ma è rovinoso per la credibilità di un leader. Icardi è diventato l’Inter, ne decide le sorti non solo coi colpi sottoporta, ma con la personalità. Ha finalmente il sangue agli occhi e il riconoscimento generale dei compagni, li carica e li esorta manco fosse uno di quei mammasantissima che lo guardano dalla tribuna dopo aver regalato a questi colori le gioie più belle. È un esempio, soprattutto. La sua fascia è tuttora iperdiscussa da fuori, perché forse non si vuole accettare che il tempo passa, e uno come Javier Zanetti era nato in un’altra epoca. Dà noia Wanda, le sue forme esposte su Instagram, e magari chi contesta le sue pose in realtà prende il telefono appena sveglio, per andare a spulciare coi pruriti di un quindicenne se la bella signora ha messo in mostra un po' di pelle in più della volta precedente. Il marito, l’unico che avrebbe titolo a lamentarsi della situazione, la invoca dal campo dopo la tripletta, e le sue mani disegnano un cuore. Si polemizza contro il suo egoismo, e poi eccolo lì che sciorina coraggio, sudore e la buona volontà di provare a diventare quello che non è stato finora, un attaccante che si costruisce i gol da solo. In area, poi, manco a parlarne: più che un ariete alla Vieri –e mi si perdoni il paragone con un simbolo di altri colori– è un Trezeguet, nella sua capacità chirurgica di capire che, a volte, il pallone va preso sporco, di punta o di mezz’esterno, per metterlo proprio lì dove si vuole. Vieri sfondava la porta, Icardi la buca lì dove gli pare. Ma non è questa la notizia. Il bello è che Icardi è diventato il capitano proprio davanti agli occhi dei capitani di ieri, in una bella danza tutta argentina. ‘Allacciamoci nel tango’, cantava furbetto Fred Buscaglione nella sua Kriminal Tango. Kriminal, come è lo spietato Maurito; tango, in ossequio alla regola meravigliosa per cui la leadership, da queste parti, ha ancora una tinta albiceleste.
SUDORE E SORRISO - E poi c’è Candreva, con la standing ovation al momento della sostituzione, che ricorda a tutti come San Siro possa togliere e anche dare. Il romano ha garra, le gare calde sono le sue gare, e il Milan lo sa bene. In più, Candreva si distingue per la straordinaria capacità di inserire la giocata di classe in mezzo o al termine di una corsa di 70m, e in questo caso occorrerebbe chiedere a Vecino cosa pensi del maestoso pallone regalatogli dall’ex Lazio nella ripresa. L’uruguaiano, dal canto suo, dà l’impressione che presto ci ritroveremo in mano un centrocampista maiuscolo, e accadrà così, da un giorno all’altro, nel modo in cui in passato son venuti fuori quei mostri sacri inseguiti invano in estate. Si muove in verticale, copre una porzione di campo non indifferente, fa le due fasi e quanto meno sa dov’è di casa la porta avversaria, in attesa che inizi a centrarla con maggiore regolarità. Menzione anche per Borja, che avrà poca benzina – e lo dimostra il calo alla distanza – ma resta un artista in una squadra che perlopiù corre e alle volte è un po’ bulla, come sono bulle le spallate con cui Skriniar ferma chi ha le gambe più veloci delle sue. È stato un bel derby con un pericoloso momento di opacità dell’Inter a inizio ripresa, quando le scelte di Montella hanno pagato e non poco, conferendo al Milan un’ampiezza che ha messo in ansia la fase difensiva nerazzurra. È stata una questione tattica, però, e soltanto questo. Non è più un problema di testa, altrimenti non si vincerebbe sempre all’ultimo. Non ci sono più carenze di cuore e di attaccamento, anzi si suda col sorriso. Finalmente, infine, c’è un Capitano. Grazie a Spalletti, per tutto questo e grazie, soprattutto, per aver forse consegnato di nuovo alla storia nerazzurra la benedizione di un trascinatore. Senza, non sappiamo dove andare.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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